Buongiorno a tutti, lettori e lettrici!
Spero che il vostro Dicembre stia procedendo bene. Io sto rannicchiata sotto una copertona con bevande calde varie e mi godo il calduccio dentro casa, mentre giro tra i blog per vedere cosa mi sono persa nell’ultimo periodo. E penso ai regali di Natale che devo ancora comprare questa settimana.
Intanto, ho deciso di ricominciare subito a condividere con voi le mie opinioni su alcune delle ultime letture e penso proprio che, almeno per i primi tempi, le concentrerò soprattutto in una serie di mini-recensioni: un po’ per riprendere la mano, un po’ perché vorrei riprendere il ritmo e questo tipo di post, che di solito scrivo più rapidamente rispetto alle recensioni singole, è perfetto per l’occasione.
Comincio questa prima triade con un titolo che purtroppo, nonostante avessi già aspettative tutto sommato basse, è riuscito a deludermi molto: si tratta di Bones (Bones: Buried Deep in lingua originale), di Max Allan Collins.
Pagine:245
Editore:Rizzoli
Traduzione:Adria Tissoni
Anno:2007
ISBN:978-88-17-01835-7
Trama:Bones e Booth collaborano di nuovo insieme quando un sacco pieno di ossa viene lasciato proprio di fronte a un edificio federale. Quando si scopre che le ossa provengono da varie persone e che ci potrebbe essere un collegamento con la mafia, le indagini si fanno sempre più intricate e pericolose.
Ho ricevuto questo libro in regalo, attraverso un giochino su Anobii. Dubito che l’avrei letto altrimenti; la serie TV Bones mi piace molto, fa parte di quel filone investigativo in cui anche le vite dei personaggi principali hanno molto screen time (quasi al livello di un cozy mystery, se chiedete la mia) che mi piace guardare quando cerco divertimento e relax, ma non sono appassionata a livelli tali da procurarmi un libro coi suoi personaggi – anche perché la serie di per sé è tratta liberamente dalla serie di libri di Kathy Reichs, e quindi nella mia mente si creava un cortocircuito metaletterario-televisivo non indifferente.
Tuttavia, dato che ormai era sui miei scaffali, e occupava spazio, ho deciso di leggerlo. E ho scoperto, nonostante mi aspettassi poco, che avrei potuto tranquillamente farne a meno.
Non solo non è un buon giallo/thriller, ma non è nemmeno una buona lettura per chi è un fan della serie: il che lo rende essenzialmente inutile.
Se avesse avuto una trama con uno svolgimento accattivante, sospetti ambigui, uno sviluppo in grado di creare dubbi sull’effettiva identità del colpevole, questo si sarebbe potuto definire un giallo: invece, una volta messe in tavola le carte, l’assassino è subito identificabile, ovvio in maniera fastidiosa, e le investigazioni di Bones e Booth sembrano annacquate, come se si fosse allungato il brodo per aggiungere pagine. Già questo è molto fastidioso; ma ero disposta a essere magnanima (d’altronde, neanche la serie TV è nota per delitti particolarmente machiavellici). Tuttavia, anche la caratterizzazione dei personaggi è, per quanto mi riguarda, totalmente sbagliata: e questo – in un titolo che nasce quasi come “fanfiction ufficiale” – è assolutamente inaccettabile. L’autore non è riuscito a rendere il rapporto che c’era agli inizi tra Bones e Booth (è ambientato in quella che potrebbe essere la prima, massimo la seconda stagione di Bones), non ha dato la giusta voce a Hodgins e Zack Addy, non ha reso, insomma, quello che per me è il motivo fondamentale di riuscita dello show: i personaggi e i loro rapporti.
La scrittura, perlomeno, è scorrevole; senza infamia e senza lode. Fosse stato diversamente, non credo sarei riuscita a finire questo libro.
Insomma, questo è uno di quei casi in cui la stella singola è, purtroppo, necessaria.
Passiamo a un altro giallo, fortunatamente molto più piacevole: La regina dei castelli di carta (il cui titolo originale è Luftslottet som sprängdes), di Stieg Larsson. Ovviamente, ci sono spoiler per chi non ha letto il primo e il secondo libro; non farò anticipazioni, invece, sulla trama di quest’ultimo capitolo della trilogia Millennium.
Pagine:857
Editore:Marsilio Editori
Traduzione:Carmen Giorgetti Cima
Anno:2007
ISBN:978-88-31-79677-4
Trama:Lisbeth è in ospedale e lotta per la sua vita: l’incontro con Zalachenko ha lasciato entrambi in condizioni critiche. Intanto Blomkvist comincia a dipanare la matassa d’intrighi che coinvolge la giovane hacker ed è pronto a smantellare e rendere pubbliche congiure che vivono all’interno del cuore stesso del governo svedese.
Ero curiosa di scoprire come si sarebbero concluse le vicende di Lisbeth e di Mikael. Sapendo che l’autore era (purtroppo) venuto a mancare con l’idea di scrivere ancora molti romanzi legati a questa strana coppia investigativa, temevo che la lettura di questo libro mi avrebbe lasciata con una qualche sensazione di inconcludenza; invece, con mia grande soddisfazione, credo che questo fosse comunque un ottimo volume con cui chiudere il cerchio.
Non solo veniamo finalmente a capo di tutti i misteri che circondano l’infanzia e l’adolescenza di Lisbeth (almeno, quelli maggiori), ma riusciamo anche ad ottenere una soluzione soddisfacente; non volendo anticipare nulla eviterò di dire come e in che modo, ma ammetto che la sete di giustizia che alcune delle tematiche di questo libro fanno sorgere è stata placata in maniera per me soddisfacente. Inoltre nel corso della trama si svelano molti retroscena che risalgono anche a parecchi decenni prima delle vicende narrate – e devo dire che anche in questo caso la storia mi ha intrattenuta e tenuta incollata alle pagine.
I personaggi sono sempre interessanti e particolari: Mikael e Lisbeth si mantengono sfaccettati, intelligenti e affascinanti come sempre, veniamo a conoscere qualche dettaglio in più sulla sorella di Mikael, Annika, che è tosta quanto il fratello, e incontriamo ancora Dragan Armanskij, che a me è sempre piaciuto molto. Anche gli antagonisti, benché meno approfonditi, risultano intriganti e, soprattutto, veritieri. La Berger risulta un po’ meno pregnante in questo romanzo, e le sue vicende, per quanto comunque d’intrattenimento, mi sono piaciute un filo meno rispetto a quelle che coinvolgevano il duo principale.
Lo stile di Larsson, allo stesso modo, rimane buono, esattamente come nei due libri precedenti; non si tratta di niente di incredibile, ma fa il suo dovere e soprattutto dà un ritmo quasi indiavolato alla lettura, permettendo di leggere questo piccolo mattoncino in un lasso di tempo incredibilmente breve. Peccato per alcuni dettagli molto fastidiosi, come la tendenza dell’autore a riferirsi continuamente ai personaggi in scena per nome e cognome, che già solo dopo una decina di pagine si fa – in tutta onestà – piuttosto irritante.
Infine, parliamo di una raccolta di racconti di un autore italiano, scoperta per caso mentre girovagavo su Anobii: Bestiario stravagante di Massimiliano Prandini.
Pagine:143
Editore:Damster Edizioni
Anno:2010
ISBN:978-88-95-41229-0
Trama:Tra vampiri alternativi, contabili con oscuri segreti, netturbini perseguitati da presenze inquietanti e animali con occupazioni poco ordinarie, i protagonisti dei racconti di questa raccolta sono senz’altro particolari, per usare un eufemismo. Con un tono che varia dal serio al comico, lo scrittore li mette sulla nostra strada e ci fa conoscere le loro storie.
Ho incontrato questo libro per caso. Girovagando tra le catene di lettura di Anobii, organizzate nella maggior parte dei casi dagli autori stessi, sono stata colpita dal titolo bizzarro; e leggendo la presentazione dell’autore, che dava la possibilità di scaricare gratuitamente il libro (distribuito sotto licenza Creative Commons), ho pensato che effettuare il download e caricarlo sul mio reader fosse un’ottima idea. Convinta ulteriormente dalla copertina, l’ho lasciato riposare un po’ nella mia biblioteca virtuale; e più o meno all’inizio di quest’anno l’ho letto, con gusto, sogghignando tra me e me e godendomi le svolte inaspettate delle trame di questi racconti ben costruiti.
Trovo che progettare e scrivere un racconto sia spesso più difficile che delineare epopee di ampio respiro: la brevità della forma costringe l’autore a una scrittura più limata, che deve portare il lettore a un’immersione e a una partecipazione uguali a quelle che proverebbe leggendo un romanzo, ma con un numero di pagine decisamente minore. In questo caso, Prandini riesce – la maggior parte delle volte – a raggiungere l’obbiettivo e a creare storie che vivono perfettamente nella loro misura breve, spesso inserendo un plot twist finale che rende ogni lettura imprevedibile. In particolare, Dieci giorni al Barbacane (il racconto che apre la raccolta, il mio preferito tra tutti) riesce a infondere nel finale un’inquietudine e una curiosità che mi hanno positivamente colpita; Scendono le ombre della sera, allo stesso modo, gioca con il concetto di reale e immaginario per sfruttare l’incertezza del protagonista, che si riflette sul lettore, creando un finale inaspettato e inquietante. In effetti, questa vena d’inquietudine, d’orrore, è un elemento ricorrente dei racconti, e la stravaganza del titolo assume anche la connotazione tipica del perturbante. Trovo che i racconti più riusciti nell’esprimere queste sensazioni siano La cantina, Il cassonetto numero 73 (anche se in misura minore) e, di nuovo, Scendono le ombre della sera. Anche Sogni – il racconto conclusivo – sebbene per motivi diversi, potrebbe far parte di questo gruppetto. Altri racconti invece, purtroppo, non riescono a inquietare il lettore, nonostante l’intenzione sia evidentemente quella: parlo, in particolare, de Lo specchio, che tratta di una situazione banale al limite del cliché, e non abbastanza ben sviluppata per risollevarsi dalla prevedibilità della trama.
Paradossalmente l’altro elemento distintivo di questa raccolta è l’umorismo, spesso virato verso il nonsense, che sorregge alcuni dei racconti: in Vacche magre, ad esempio, c’è un vampiro che deve trovare un modo per campare e che escogiterà alcune strategie decisamente simpatiche. Altri racconti invece, per quanto mi riguarda, spingono un po’ troppo e finiscono per diventare poco piacevoli: ad esempio, non ho per niente apprezzato Vergine 4.7, forse anche perché i protagonisti mi sono sembrati male abbozzati.
Lo stile di Massimiliano Prandini, per concludere, è molto piacevole e scorrevole. Talvolta le voci narranti dei diversi racconti s’assomigliano un po’ troppo, e la mano dell’autore si fa vedere più di quanto sarebbe necessario; ma in generale riesce a dare il giusto ritmo alla storia e a caratterizzare come si deve i vari protagonisti. In definitiva, sono felice di averlo scoperto, e penso leggerò altri suoi libri.
Max Allan Collins è un buon novellizzatore di idee nate da altri e da Universi condivisi (infatti in America è famoso per questo) più che un vero romanziere.
RispondiEliminaMentre invece davanti a Stieg Larson bisognerebbe solo inchinarsi.
In effetti mentre cercavo maggiori informazioni su di lui, per scrivere la recensione, ho notato che ha scritto molti libri dedicati alle varie serie di CSI, ad esempio. Non penso proprio che le leggerò, però! Se mai darò una seconda possibilità a Collins sarà con "The first Quarry", ne ho sentito parlare bene (mi pare su un blog, ma mannaggia non riesco a ricordarmi quale).
EliminaLarsson è decisamente meglio, poco ma sicuro :)
Hai provato con i romanzi di Kathy Reichs, Cami? C'è stato un periodo della mia vita in cui ne ero molto appassionata! XD
RispondiEliminaLa Temperance Breannan di quelle storie ha molto poco a che fare con la dottoressa Bones della serie tv, certo... ma si tratta di un gruppo di medical thriller molto solidi e convincenti, secondo me! Sicuramente meglio del libro di Max Allan Collins! ^^
In effetti no, non ho mai provato! Sapevo che le due dottoresse Brennan hanno ben presto preso vie differenti, e la cosa un po' m'incuriosisce; ma in tutta onestà non so se ho voglia di incontrare un'altra Brennan, sono affezionata a quella che conosco, se capisci che intendo :)
EliminaPerò non c'è dubbio che i libri della Reichs possano essere migliori di questo di Collins, non ci vorrebbe molto a dire il vero :P
Che nostalgia di Lisbeth e Mikael! Anche il ho letto tutta la trilogia e l'ho trovata estremamente piacevole, ma come non sopportavo lo stile a volte fin troppo cronachistico di Larsson, con dettagli minuziosi spesso inutili e nomi e cognomi infiniti... però tutte e tre le storie sono avvincenti e il personaggio e la vicenda di Lisbeth sono meravigliosi.
RispondiEliminaSono felice di leggere che non sono la sola ad aver apprezzato i libri di Larsson nonostante le sue piccole manie narrative, ahah!
EliminaSì, Lisbeth è un gran personaggio. Seguire la sua storia è stato molto bello :)