Titolo: L'arte di collezionare mosche (originale: Flugfällan)
Autore: Fredrick Sjöberg
Anno: 2004
Editore: Iperborea
Traduzione: Fulvio Ferrari
ISBN: 978-88-7091-542-6
Pagine: 218
Trama: Frederick Sjöberg è un collezionista di mosche, anzi della famiglia dei sirfidi, e per la precisione solo dei sirfidi indigeni dell'isoletta svedese su cui vive. La sua attività di entomologo e, soprattutto, di collezionista guida questo libro che più di tutto è un'autobiografia, ma che in realtà contiene in sé anche l'essenza del romanzo, del saggio divulgativo, della conversazione brillante.
Ci sono libri che arrivano nel momento giusto. Forse non dovrei cominciare una recensione con un luogo comune così trito, ma spero mi perdonerete, perché in questo caso corrisponde alla pura verità.
Questo libro non l'avrei letto se, per una serie di coincidenze, scelte e casualità, non mi fosse stato donato quando (per lavoro) ho visitato la redazione di Iperborea; e se, al contrario di quanto mi capita di solito, non avessi scelto di leggerlo subito piuttosto di lasciarlo a sedimentare. Avevo bisogno di un libro che fosse letterario ma leggero, che fosse non comico, ma venato d'ironia, divertente in maniera sottile; e magari, pensavo, mi avrebbe fatto bene anche un po' di avventura, per imparare cose nuove, per espandere un pochino i miei orizzonti e vivere un mondo diverso per interposta persona.
Ovviamente non mi era così chiaro, sul momento, ma il bello di ripensare a ciò che ci è successo è che spesso è tutto molto più comprensibile. E così posso dire con certezza, ora, che L'arte di collezionare mosche era esattamente il libro di cui avevo bisogno.
Fredrick Sjöberg, in questo libro delizioso, parte da sé e dai sirfidi (una particolare specie di mosca, appunto) per andare ben oltre il semplice manuale di entomologia — quindi vi invito a ricredervi, come ho fatto io, se all'inizio l'dea delle mosche non vi intrigava — e anche oltre alla forma romanzesca. Credo sia inutile cercare un genere per questo libro, che mescola ricordi e divulgazione scientifica, riflessioni e racconti d'avventura: si tratterebbe di un'incomprensibile limitazione.
Sjöberg ha semplicemente deciso, un giorno, di mettersi a raccontare della sua vita sulla piccola isola in cui abita, della sua collezione di sirfidi indigene di suddetta isola, e di tutto ciò che anche solo tangenzialmente l'ha accompagnato nel corso degli anni . E l'ha fatto adottando uno stile colloquiale, piano, e un procedere a episodi che rende la narrazione simile a una conversazione brillante: la lettura, così, è immensamente piacevole, e pare quasi di essere in ascolto, e non di far scorrere gli occhi sulle parole.
Procedendo in questo modo Sjöberg ha la possibilità di toccare argomenti anche (apparentemente) distanti tra loro: e quindi ecco che compaiono descrizioni delle isole svedesi, le storie di alcuni visitatori, riflessioni sul controllo – un argomento che, soprattutto nei primi capitoli, torna spesso, e che si concretizza nella necessità del collezionista di avere un limite; ma che sorprende un poco, per le esperienze di vita dello stesso Sjöberg – e, soprattutto, le storie di altri entomologi, veri e propri avventurieri, che accompagnano il lettore e diventano dei co-protagonisti a tutti gli effetti. Colui che più di tutti merita questo titolo è René Malaise, entomologo svedese che viaggiò in alcuni dei luoghi più lontani ed esotici del mondo, in particolare nel Kamčatka, affrontando situazioni incredibili per continuare le proprie ricerche e per perfezionare le proprie trappole per insetti. Non vi racconto nulla; credetemi quando vi dico, però, che Malaise incarna perfettamente la figura dell'esploratore tipica di fine Ottocento-primo Novecento, e che "studiare insetti" è una definizione molto limitante della sua occupazione.
A far da cappello a tutto questo ci sono le riflessioni di Sjöberg, che dalla sua passione per i sirfidi prende l'attenzione al dettaglio minuzioso e, soprattutto la capacità di riflettere data dalle attese lunghissime, passate fermo immobile. Alcuni passaggi del libro danno l'idea di essere stati scritti dopo settimane di riflessioni, idee assorbite a tal profondità da essere cristalline nella sua mente, pronte a essere poi scritte con assoluta semplicità.
Poco dopo aver chiuso il libro, ho cominciato a sperare che Iperborea portasse in Italia gli altri scritti di questo autore; grazie alla serata inaugurale de I Boreali (il festival dedicato alla cultura nordica che dall'anno scorso ha luogo a Milano, un'iniziativa bellissima che spero di godermi ancora di più l'anno prossimo), posso confermarvi che Iperborea sta effettivamente traducendo un altro libro di Sjöberg, una sorta di seguito de L'arte di collezionare mosche, e io ovviamente ne sono davvero felice.
L'incontro di cui parlo ha visto Sjöberg parlare con Paolo Nori, un autore di cui ho letto solo articoli per ora, e dall'umorismo che ben si sposa con l'ironia dell'autore svedese: hanno dato vita a una conversazione vivace, brillante, interessante, che ha confermato la simpatia che ho provato nei confronti dell'autore durante la lettura, e che ha fatto ridere di cuore me e molti dei presenti. Si è parlato di insetti e di chi li cataloga, esploratori ed esploratrici, biologi, donne, della Svezia e dell'Italia, delle passioni, delle collezioni e delle manie, di letteratura (russa, in particolare) e di WC a due posti (per capire il perché dovrete leggere il libro). Sono anche riuscita a farmi firmare il libro, cosa a cui tenevo molto, e mi ha fatto piacere potergli parlare, anche se solo per poco.
Quando il seguito uscirà in libreria io lo prenderò, senza alcun dubbio (e sono quasi tentata di sperare che in casa editrice ascoltino Paolo Nori e lo intitolino Il re dell'uva passa: mi piace più de Il re dell'uvetta!).
Voto:
- Molti anni fa, prima dell'isola e del teatro, risalii l'immenso fiume Congo su una chiatta che faceva servizio passeggeri. Ah, che avventura! Che racconto poteva venirne fuori! Sulla libertà! E invece niente: non sono mai riuscito a dire nient'altro che le foreste erano grandi e il fiume largo come lo stretto di Kalmar. Che c'ero stato. È questo che capita quando si viaggia per avere qualcosa da raccontare. Si perde la capacità di vedere. In compenso avrei potuto essere inesauribile sul tema della nostalgia. Meglio non dire niente.
- Bottonologia si chiama, la scienza del futile, un termine irriverente, ma corretto. L'uomo che amava le isole è essenzialmente, in quanto collezionista, un tipico bottonologo. Stila cataloghi. L'idea è che debbano essere completi. Dev'esserci tutto. In questo il bottonologo si distingue dal cartografo, cui per altri versi assomiglia e con cui può essere confuso. Chi disegna carte geografiche non potrà mai inserire tutto nella sua immagine della realtà, che rimane per forza una semplificazione, a prescindere dalla scala scelta. Entrambi cercano di catturare qualcosa e di conservarla. Ma la somiglianza finisce qui.Quello che mi sconcerta è che a volte il bottonologo, come in Lawrence, sembra solo un ex cartografo sulla via della pazzia. Una fase transitoria.
- A partire dal giorno di aprile in cui il sole a sud fa aprire i primi boccioli del salice, cominciano a volare anche i primi sirfidi. Piccole specie poco appariscenti che spesso vengono definite rare nei libri, forse perché sono davvero molto poco diffuse, ma più probabilmente perché nessuno si dà il tempo di vederle. [...] Inoltre i salici migliori sono in genere così alti che non ci si arriva con il retino: si può solo stare sotto a osservare con il binocolo quello che succede tra i fiori in cima, tormentandosi il cervello e domandandosi quali specie stiano volando lassù. Naturalmente si può comprare un manico [per il retino] più lungo (gli ingegnosi cechi ne hanno messo in commercio uno lungo otto metri) e starsene al sole di primavera come un saltatore con l'asta che ha perso la strada, ma pare che manici del genere siano difficili da maneggiare mantenendo la propria dignità, così sono andato alla ricerca di salici che fioriscano pur essendo bassi.
- Quando i giorni erano contati tutto mi pareva più chiaro, come se tra la fine dei preparativi e la partenza regnasse una particolare magia. Il tempo al di là di quel limite sembrava infinito, sfuggente e inaffidabile. La limitazione conferiva una calma liberatoria. Quei giorni contati erano come un'isola. E l'isola, in seguito, divenne un istante misurabile. A lungo questa scoperta fu l'unico incontestabile profitto dei miei viaggi.
- E quando dico che il paesaggio letterario può trasmettere una specie di esperienza letteraria a diversi livelli di profondità, intendo proprio questo: prima di tutto bisogna conoscere la lingua. In un dizionario tutto fatto di animali e di piante, dunque, le mosche sono vocaboli in grado di narrare storie di ogni tipo seguendo il codice delle leggi grammaticali dell'evoluzione e dell'ecologia.
Riconoscere un Chrysotoxum vernale quando lo si vede e sapere perché vola proprio in quel luogo e in quel momento dà una soddisfazione che purtroppo non è affatto facile da spiegare. Temo che si debba prendere la deviazione dell'utile per poter arrivare al bello. L'essenziale resta una questione di gusto.
Buone letture e buoni libri!
Vostra,
Camilla
Ottima proposta, sei riuscita ad incuriosirmi.
RispondiEliminaCondivido quello che hai scritto: ci sono libri che arrivano nel momento giusto della vita.
Ne sono davvero felice! :)
EliminaBellissima recensione, per un libro che pare molto intrigante! :)
RispondiEliminaMolto bella anche la nuova grafica, non riccrdo se l'avevo già detto, comunque bella! :)
Grazie, sono contenta che ti sia piaciuta e che ti interessi il libro: credo sia nelle tue corde :)
EliminaE grazie anche per i complimenti alla grafica! :D In effetti l'ho cambiata da pochissimo, ci voleva proprio.