Titolo:Schegge (originale: Splitter)
Autore:Sebastian Fitzek
Anno:2009
Editore:Elliot Edizioni
Traduttore:Claudia Crivellaro
ISBN:978-88-6192-130-6
Pagine:360
Trama:Marc Lucas è un avvocato perseguitato dai propri ricordi, da quando è sopravvissuto all’incidente d’auto in cui è morta la moglie incinta. Così, quando viene a conoscenza di un esperimento per eliminare alcuni ricordi a scelta, decide subito di sottoporsi al procedimento. Ma al posto del sollievo sperato, Marc si trova a dover fronteggiare un incubo…
La memoria – persa e ritrovata – è uno dei temi fondamentali della narrativa: è il nostro “specchio del passato”. E’ indubbiamente un argomento intrigante e di cui ancora sappiamo poco, a livello scientifico: per questo Schegge mi ha subito incuriosita.
Marc è un uomo distrutto dal dolore, pronto a cancellare dalla propria mente anche i ricordi più felici, pur di poter vivere un’esistenza con almeno una parvenza di serenità. Ma la memoria non è un’entità che si può sforbiciare a piacimento e il nostro protagonista si troverà incastrato in una situazione ben peggiore di quella che già si prospettava – una situazione in cui fidarsi degli altri diventa difficile, fidarsi di sé stessi quasi impossibile.
Ogni pagina è un passo in più lungo la strada che trascina Marc (e noi con lui) in una spirale confusa e tenebrosa, dove si mescolano ricordi veri e presunti.
Fitzek conosce bene il suo genere e sa come muoversi al suo interno, riuscendo a creare una storia coinvolgente ed emozionante, che tocca con abilità certe corde, legate a paure ataviche dell’essere umano, che fanno immediatamente scattare una certa empatia nei confronti del protagonista.
Ottiene questo effetto anche perché fa sollevare domande che chiunque di noi può porsi: questioni più generali, come l’importanza della memoria e l’eticità della rimozione dei ricordi (se mai divenisse scientificamente possibile), oppure dubbi lapidari che non possono che lasciarci inermi. Saremmo comunque noi stessi, cancellando alcuni dei nostri ricordi? E se non fossimo più “noi”, chi saremmo? E ancora: se nessuno si ricorda di noi, si può dire che esistiamo? O un’esistenza che non ha alcun impatto su quella degli altri non può essere definita tale?
Attorno a tutti questi dilemmi si costruisce, nel frattempo, una corsa contro il tempo: Marc vuole scoprire cosa gli sta succedendo, vuole capire di chi fidarsi e, più di ogni altra cosa, rivuole indietro la sua vita. “Buoni” e “cattivi” non sono mai quello che sembrano, tant’è che, scambiandosi spesso e volentieri di posto, finiscono per mandare all’aria tutte le ipotesi che il lettore si era fatto!
Io stessa sono rimasta più volte a bocca aperta, mentre tutte le mie supposizioni venivano sfatate da un colpo di scena del tutto inaspettato. Inutile dire che, in un libro di questo genere, non può che essere un buon segno.
Ho trovato solo due difetti durante la lettura: trattasi di una lieve tendenza dell’autore a inserire dettagli inutili (del genere che ogni tanto il protagonista parla di sé, senza che questo sia effettivamente utile al proseguimento dell’azione) e di alcuni capitoli conclusi in maniera anti-climatica, che non rendono giustizia alla tensione che Fitzek riesce a creare. Ma sono difetti minimi, non reiterati e che non impediscono in alcun modo di appassionarsi alla storia.
Il finale, poi, merita un po’ di spazio per sé. Non lo svelerò, ovviamente – non mi sembra proprio il caso. Cercherò di mantenere le considerazioni a riguardo prive di anticipazioni.
Appena finito di leggere il libro l’avevo trovato fantastico, in quanto totalmente inaspettato. Gli ultimi capitolo sono, a modo loro, toccanti; la vicenda mi sembrava conclusa come si deve.
Ora, ripensandoci, non ne sono più tanto sicura… anzi, più ci rifletto, più mi è sembrata una soluzione un po’ assurda, troppo assurda perfino per un thriller. Non è un finale facile, di quelli che l’autore appronta per non doversi sforzare troppo e trovare una conclusione decente; però, non posso fare a meno di pensare che abbia tentato di “svicolare”, per evitare di rispondere a certe domande… Mi piacerebbe discuterne con qualcuno che ha letto il libro.
In sostanza, nonostante il finale su cui ancora rimugino, non si può proprio dire che sia un brutto libro, anzi: creando una storia frenetica e piena di tensione centra esattamente il suo obbiettivo, ovvero essere un ottimo thriller – meritandosi, così, un buon voto!
Frasi e citazioni che mi hanno colpita…
- Più tardi i dottori avevano stabilito che il consumo prolungato ed eccessivo di alcol era stato la causa dei suoi vaneggiamenti. Ma Marc riteneva che fosse il contrario. Suo padre non si ubriacava mai quando fantasticava nel suo mondo virtuale, vivendoci per tutto il tempo. Era solo nei rari momenti di lucidità che si attaccava alla bottiglia, perché non riusciva a sopportare la consapevolezza della propria condizione.
- Nel momento stesso in cui saliva sull’auto […], Marc intuì che stava per commettere uno sbaglio. […]
Se avesse potuto assistere al film della sua vita, avrebbe gridato verso lo schermo, esortando quel disgraziato a scelte più razionali: Chiama la polizia. Vai alla clinica, da Constantin. Chiedi aiuto a qualcuno che sia neutrale. Ma non seguire per nessun motivo quella donna! - Mi sento come una persona che ha ingoiato un magnete che invece di attrarre il metallo attira su di sé la follia. E ho come l’impressione che diventi più potente ogni minuto che passa.
- «La strada che ho dovuto percorrere […] è stata orribile, ma mi ha insegnato una cosa».
«Cosa?».
«Che la verità è spesso il contrario di quel che crediamo».
Anche per oggi è tutto, amici lettori: vi auguro di passare un buon fine settimana!
Vostra,
Cami