Autore:Ernest Hemingway
Anno:1929
Editore:Arnoldo Mondadori Editore
Traduzione:Fernanda Pivano
ISBN:978-88-04-56710-3
Pagine:320
Trama:Frederic Henry, soldato statunitense sul fronte italiano, adibito ai trasporti in ambulanza, viene ferito gravemente; durante il suo ricovero ospedaliero, mentre la disfatta di Caporetto incombe, si innamora di un'infermiera. Attraverso la morte, la guerra e l'amore si delinea così il ritratto dell'uomo dell'immediato dopoguerra.
Hemingway è un autore strano; nel senso che è molto particolare e, soprattutto, difficile da giudicare, per il modo in cui scrive e per l'importanza che ha avuto nel panorama letterario del XX secolo. Come sempre, nonostante tutto, io proverò a condividere con voi le impressioni e le sensazioni che mi sono rimaste dopo aver letto questo libro.
L'inizio di Addio alle Armi, per quanto ben scritto, è essenzialmente lento. E' un incipit che non sembra promettere niente al lettore, limitandosi a dare un effettivo avvio alla storia; tuttavia, proseguendo con la lettura, ci si ritrova quasi "incatenati" alle pagine, senza nemmeno rendersene conto. Semplicemente, si arriva ad un certo punto, dopo un numero imprecisato di pagine, a non voler più mettere giù il libro; a volerne leggere ancora, seguendo Frederic e Catherine che fuggono dalle rovine terribili di una guerra che per loro non significa nulla.
Probabilmente tutto questo è dettato, oltre che dalla storia in sè, anche da come questa ci viene narrata: la prosa, infatti, è particolare e variabile, a seconda del momento. Si può dire che appare sia "libera" che "controllata"; ad esempio, quando ci viene descritto il flusso di coscienza del protagonista in un momento di ubriacatura, le parole fluiscono e formano una prosa senza costrizioni, che scorre incontrollata, mentre quando Frederic descrive un paesaggio, tra l'altro sempre in modo essenziale, scarno, le parole sembrano ritrovare il loro ordine e il loro controllo.
Eppure, proprio quando le parole si fanno più ordinate e tranquille trovo si esprima al meglio la forza di questo narratore; perché le descrizioni di Hemingway, sotto certi aspetti, sono lancinanti. Quando descrive la realtà non la edulcora, non la imbelletta e quindi lascia che sia la situazione di per sè a stordire il lettore. Un esempio su tutti di questa particolare caratteristica si trova nelle pagine dedicate alla ritirata, una fuga insieme lenta (fisicamente) e precipitosa (a livello mentale), che personalmente ritengo sia anche la più grande testimonianza della vena anti-bellica di Hemingway. Lui, come autore, non lo dice direttamente: ma è proprio attraverso la descrizione di questa fuga sconvolta che ci mostra quanto la guerra sia insensata, attraverso frasi come "La sera dopo incominciò la ritirata. [...] Non c'era più disordine che in un'avanzata" (p.178).
E' una palese polemica contro la guerra, che in questo libro nessuno vuole fare, in cui chi ha ancora la forza di pensare non capisce per quali motivi si combatta, ma soprattutto non ha alcun interesse nel continuare a farlo. Non lo sente come un dovere verso la patria o la famiglia, o come il sostegno ad un'ideologia: tutti i soldati sono esseri umani, che combattono perché sono lì, perché fuggire è pericoloso e potrebbero imprigionarti, in sintesi perché era un dovere imposto con ferocia. Nessuno, in Addio alle Armi, sente la guerra come qualcosa di giusto. Solo come qualcosa che esiste da abbastanza tempo da dover essere accettata.
Proprio il titolo del romanzo, quindi, sembra voler simboleggiare due cose: a livello della trama, la diserzione di Henry, a livello macroscopico, la storia di un uomo che si allontana dal conflitto bellico alla ricerca di una nuova vita.Questa svolta che la fuga dovrebbe portare, tuttavia, è indissolubilmente legata all'amore. Senza la spinta della guerra, l'uomo deve trovare un nuovo insieme di valori a cui aggrapparsi; per il nostro Frederic Henry, poichè è stato l'amore per Catherine Barkeley a "liberarlo", queste speranze e tutte le sue aspettative non possono che riversarsi sulla figura dell'infermiera che l'ha teneramente accudito.
La Barkeley, almeno all'inizio, mi è sembrata il ritratto della maniacalità; forse perché il punto di vista è quello di Henri, cui l'attrazione morbosa di questa donna doveva sembrare eccessiva, venata di sentimentalismo femminile. I dialoghi poi, benchè piuttosto realistici (non solo in queste occasioni, ma in generale), non fanno che sottolineare questo atteggiamento.
Man mano che le pagine scorrono, tuttavia, si sviluppa un rapporto che permette di rivalutare il suo personaggio in maniera più positiva: la relazione tra i due protagonisti, che doveva essere una storia da niente, cresce fino a diventare tutto ciò che sostiene Frederic e gli permette di continuare a vivere. Alcune delle pagine più belle sono proprio quelle in cui si manifesta il loro sentimento, come la scena d'amore a Milano, o le parole di Catherine sulla pioggia; forse le testimonianze migliori dell'animo decadente che permea questo libro.
Avrei preferito, comunque, che lei fosse maggiormente caratterizzata; c'è qualcosa che manca, in Catherine, qualcosa che s'intuisce solo nell ultime pagine del libro, e che avrei voluto fosse presente anche nel resto della storia. La descrizione del loro amore, del loro sentimento, invece, è magnifica. I loro dialoghi, così corti e concisi, sono piene di passione e mi hanno colpita moltissimo.
La conclusione è forte e dolorosa. E' il perfetto esempio di quanto la sofferenza sia ineluttabile, di come nonostante tutto, anche lontano dalla guerra e dai valori distorti, il dolore rimanga nella nostra vita. La ricerca di valori alternativi a quelli della guerra si conclude, vana, e all'uomo non sembra rimanere nulla; anche esprimendo tutto questo, o forse proprio perché riescono ad esprimere la disperazione successiva alla dichiarazione del fallimento, le ultime pagine del libro sono meravigliose. Un vero colpo al cuore.
La postfazione della Pivano è, più che altro, un elogio a Hemingway; comprensibile, visto che è stata proprio lei a "portarlo" in Italia e che i due si conoscevano bene. Posso capire il suo apprezzamento e l'amore per lo stile breve ma intenso dell'opera. Trovo sia bello percepire, nel suo testo, l'ammirazione che prova nei confronti degli scrittori che ama.
Mi unisco a lei e non posso che dichiararmi rapita e sinceramente colpita da questo libro!
Voto:
9
Frasi e Citazioni che mi hanno colpita...
- "Allora non c'è niente che ti preoccupa?"
"Solo di essere separata da te. Tu sei la mia religione. Tu sei tutto quello che ho." - "Siamo davvero la stessa cosa e non dobbiamo fraintenderci di proposito."
"Non lo faremo."
"La gente lo fa. Si amano e si fraintendono di proposito e bisticciano e poi d'improvviso non sono la stessa cosa." - "[...] Un coraggioso muore magari duemila morti se è intelligente. Si limita a non parlarne."
- "Sono stati battuti fin dal principio. Sono stati battuti quando li hanno presi dalle loro campagne e li hanno messi nell'esercito. [...]"
- So che la notte non è come il giorno: che tutte le cose sono diverse, che le cose della notte non si possono spiegare nel giorno perché allora non esistono, e la notte può essere un momento terribile per la gente sola quando la loro solitudine è incominciata.
- Se la gente porta tanto coraggio in questo mondo, il mondo deve ucciderla per spezzarla, così naturalmente la uccide. Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide. Uccide imparzialmente i molti buoni e i molti gentili e i molti coraggiosi. Se non siete fra questi potete esser certi che ucciderà anche voi, ma non avrà una particolare premura.
- "No. E' il grande inganno: la saggezza dei vecchi. Non diventano saggi. Diventano attenti."
- "Ma poi lei è innamorato. Non dimentichi che è un sentimento religioso."
Alla prossima recensione!
Cami
PS: proprio in questi giorni, su Radio3, durante il programma Fahrenheit - ad alta voce, l'attore Ennio Fantastichini legge alcuni racconti di Hemingway; vi consiglio caldamente di ascoltarli, è un lavoro ben fatto e piacevolissimo da seguire.