Autore:Nicolò Ugo Foscolo
Anno:1802
Editore:Giulio Einaudi Editore
ISBN:978-88-06-177119
Pagine:175
Trama:E' celeberrima la storia di Jacopo Ortis, giovane di grandi speranze costretto a combattere contro il nemico che assale la Patria e l'amore che non può vivere per la bella e innocente Teresa, fino alla terribie soluzione finale.
Immagino che voi tutti che state leggendo conosciate, grazie agli studi scolastici, questo romanzo; probabilmente molti, come me, hanno dovuto leggerlo per la scuola. Come è già capitato, recensendo altri classici, ammetto di provare soggezione verso questi libri universalmente noti e di non essere sicura di riuscire a scrivere qualcosa di sensato, visto che di parole, riguardo all'Ortis, ne sono già state spese tante; tuttavia, come sempre, io ci proverò lo stesso!
Purtroppo devo iniziare con una nota negativa: l'edizione Einaudi è meno buona di quanto pensassi. Solitamente adoro i loro libri, ma trovo che la curatrice in questo caso si sia fatta "prendere la mano" e abbia infarcito il testo di informazioni spesso ripetitive, tautologiche, con richiami continui alla prefazione o a fatti già spiegati più volte. E' stata una lettura intervallata sin troppo dalle sue note e questa non è affatto una buona cosa; un peccato, perchè l'introduzione, da sola, era ben fatta e utile.
Il romanzo in sè, invece, è stata una lettura decisamente appassionante; questo perchè i dilemmi di Jacopo Ortis sono quelli di chiunque si sia interrogato almeno una volta sul senso della vita e delle nostre azioni. Sono dubbi universali, che arrivano dritti al punto e al cuore del lettore, perchè sono lo specchio dei sentimenti che chiunque abbia sofferto per amore o sia stata infuriato col sistema e col proprio tempo, anche solo una volta, ha provato. Ammetto di essermi sentita spesso in sintonia con Jacopo, con questa sua forza che si tramutava una volta in amore per Teresa, un'altra in sdegno per la patria, trovandomi a sospirare, sperando, nonostante conoscessi già la conclusione, in una fine migliore per lui.
Il carteggio che si sviluppa lungo le pagine è basato essenzialmente su quattro tematiche: amore, riflessione sull'etica, patria e amicizia.
Come ho già detto, l'Italia è un pensiero costante per Jacopo. Costretto ad abbandonare l'amatissima Venezia, il nostro protagonista si trova esule sui colli Euganei, incapace di contenere la propria rabbia nei confronti di chi vende e sfrutta la sua patria, Napoleone (che tuttavia non viene mai nominato, solo richiamato attraverso invettive e perifrasi), soprattutto dopo che quest'ultimo sembrava aver portato un vento di novità e liberazione, ingannando tutti. Le filippiche scagliate contro l'imperatore sono dure e attaccano il francese con violenza, in un impeto talmente viscerale che non è difficile credere ai manuali, per una volta, quando dicono che l'Ortis è una rappresentazione dello stesso Foscolo; non a caso, lui stesso in una lettera scrive: "Prendi il libro come fosse il mio cuore, e più che l'autore giudica l'uomo".
La forza e l'entusiasmo che vengono espressi sono un fiume in piena e Jacopo/Ugo diventa così non solo patriota del suo Stato, ma soprattutto patriota della Libertà.
Tuttavia, l'autore ci mostra anche la parte di sè abbattuta, sconfitta; soprattutto quando, ormai sempre più risoluto nel cercare la fine, si sente inutile, sopraffatto dalla forza del nemico, da sentimenti di disfatta tanto forti da fargli dubitare del proprio patriottismo: "ma che può fare il solo mio braccio o la nuda mia voce?" scrive, nella lettera data 20 Febbraio, che è un perfetto, malinconico manifesto del pessimismo tipico della letteratura dell'intellettuale disilluso che si avvicina così al sentire romantico.
Nella stessa lettera, inoltre, viene affrontato un tema di portata ben più ampia: il conflitto fra Natura e Società. Questa lettera è, in effetti, molto più vicina delle altre alle tematiche del Romanticismo; sembra quasi il discorso finale di un uomo che non sa più come combattere contro il male che lo divora. Mi ha ricordati, in certi passaggi, un altro grande intellettuale che si è scagliato duramente contro la Natura: Giacomo Leopardi.
Come lui, Foscolo si scaglia contro questa forza negativa, si interroga senza trovar risposte; è il culmine del cammino verso la morte che Jacopo intraprende sin dalla prima lettera, un'accusa vera e propria che analizza, con parole piene di sentimento, le sorgenti della sofferenza.
Una testimonianza di queste somiglianze si trova, secondo me, nella lettera datata 11 Aprile, dove sembra quasi di leggere tra le righe la celeberrima definizione di "Natura matrigna".
Le pagine di rivalsa e le pagine di pessimismo universale si alternano in continuazione, con una netta prevalenza delle seconde, in particolar modo se aggiungiamo alla tematica politica quella sentimentale.
Tutte le lettere di Maggio, in particolare quella del 12, ne sono un esempio intenso e struggente, perchè già intrise della sicurezza dell'impossibilità di raggiungere un destino felice, che Jacopo talvolta osa immaginare, sognare, ma che non teorizza mai come obiettivo concreto da raggiungere perchè conscio di non poterci arrivare. E' un amore totalizzante, che sembra quasi scoppiare subito e che anche quando non viene citato rimane sempre presente; come tale, avrà non poco peso nelle scelte del nostro protagonista, che privato anche della possibilità di ammirare e amare Teresa non avrà più freni ad impedirgli di scegliere la risoluzione finale.
Teresa, onestamente, mi è sembrata un'anima "piccola" rispetto alla vastità del pensiero di Jacopo; degna d'amore per la sua innocenza, la sua sensibilità, eppure passiva, succube degli eventi e degli altri in un modo che onestamente mi ha infastidita.
Esistono però altri tipi d'amore in questo libro, primo fra tutti quello per le lettere e per i classici: indimenticabile la visita di Jacopo alla casa del Petrarca, o il pensiero rivolto al Tasso e alle sue sofferenze, o ancora la visita alle tombe dei Grandi a Firenze; sono le parole di qualcuno che non solo ama i Grandi della letteratura, ma soprattutto li vive e li rispetta come se camminassero ancora al suo fianco, pronti ad indicargli la strada da seguire. E' un sentimento in cui mi rispecchio molto, tanto che questi pezzi mi sono rimasti particolarmente impressi.
La terza tematica è quella etica. Per Jacopo questa coincide spesso con l'onore, sia proprio, sia della patria (legandosi così al tema patriottico già trattato prima); in più di una lettera l'Ortis manifesta il desiderio di lottare per riaffermare la propria dignita di esule, o anche solo di uomo, in mezzo ad una società che sembra aver dimenticato questo valore, insieme a quello dell'onore. Spesso Jacopo sembra sentirsi l'unica baluardo (in maniera narcisistica talora, che non stona affatto con il carattere che Foscolo ci delinea attraverso le lettere), con pochi altri intellettuali, di una morale andata in malora; e allora si porta le mani ai capelli, strabuzza gli occhi, grida il proprio dissenso e disprezzo, senza riuscire a trattenersi e senza che questi suoi eccessi portino effettivamente a qualche ravvedimento visibile. Magnifico, in questo senso, il dialogo con un ormai anziano Parini, figura di grande portata per l'economia della storia.
L'amicizia, quarto tematica principale, naturalmente molto legata all'etica, non è un vero e proprio argomento affrontato (se non nelle eventuali apostrofi dirette all'amico Lorenzo), ma un sentimento molto forte che permea tutte le lettere; l'amicizia tra i due uomini è profonda, intensa e leale, un sodalizio che si percepisce dalla libertà con cui Jacopo parla con Lorenzo e dall'affetto con cui a lui si appella.
Parlando di caratteristiche più generali, mi sono piaciute moltissimo le descrizioni bucoliche, come ad esempio la descrizione (quasi un'invocazione a dire il vero) della Luna, in quella parte del libro chiamata "Storia di Lauretta", che mi ha colpita molto per la sua tristezza e malinconia. Mi ha ricordato il Canto di un pastore errante dell'Asia di Leopardi (ebbene sì, ancora lui! Sarà che lo sto studiando a scuola e che mi ha riempito di suggestioni).
I ritratti che il Foscolo fa, in generale, sia della natura che degli essere umani, sono essenzialmente molto belli e pieni di pathos, oscillando continuamente tra una mentalità illuminista (come quando, descrivendo l'apatia intellettuale di Edoardo, promesso sposo di Teresa che ho onestamente detestato, o della Patria, invoca la necessità di un sapere enciclopedico e di riforme sociali) e uno spirito romantico (evidente nelle descrizioni dell'ambiente, sempre riflesso delle emozioni del narratore, e il gusto per il patetico).
Lo stile della prosa è perfetto per questi suoi intenti e, allo stesso tempo, per definire ancora meglio il carattere dell'Ortis: è una scrittura quasi "a singhiozzo", che rende il travaglio interiore del protagonista.
Questa caratteristica si nota particolarmente nelle ultime lettere: dalla scelta fatale in poi, per il lettore è necessario finire il libro, così da concludere un processo di catarsi e rilasciare l'enorme sofferenza che non può non colpire anche il lettore durante la lettura (almeno, così è successo a me).
Leggendo il libro e scrivendo la recensione, posso dire di aver capito come mai questo libro è considerato così importante per la letteratura italiana del XIX secolo e, com'è ovvio, per i secoli e gli autori successivi. E' decisamente da leggere!
Voto:
8,5
Frasi e Citazioni che mi hanno colpita...
- Credo che il desiderio di sapere e ridire la storia de' tempi andati sia figlio del nostro amor proprio che vorrebbe illudersi e prolungare la vita unendoci agli uomini ed alle cose che non sono più, e facendole, sto per dire, di nostra proprietà. Ama la immaginazione di spaziare fra i secoli e di possedere un altro universo.
- Facciamo tesoro di sentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per tutti gli anni, che ancora forse tristi e perseguitati ci avanzano, la memoria che non siamo sempre vissuti nel dolore.
- Ei pianse, e gridò; ed allora la ira, quella furia mia dominatrice, cominciò ad ammansirsi, perchè dall'avvilimento di lui mi accorsi che il coraggio non deve dare diritto di opprimere il debole. Ma deve per questo il debole provocare chi sa trarne vendetta?
- Ma ti scongiuro, lascia andare l'usata predica: Jacopo Jacopo! questa tua indocilità ti fa divenire misantropo. E' ti pare che se odiassi gli uomini, mi dorrei come fo' de' lor vizi?
- Di' il vero, Lorenzo; or non saria meglio che parte almen del mattino fosse confortata dal raggio del Sole anche a patti che la notte si rapisse il dì anzi sera? Che s'io dovessi far sempre la guardia a questo mio cuore prepotente, sarei con me stesso in eterna guerra, e senza pro. Navigherò per perduto, e vada come sa andare.
- Io non ho l'anima negra; e tu il sai, mio Lorenzo; nella mia prima gioventù avrei sparso fiori su le teste di tutti i viventi: chi mi ha fatto così rigido e ombroso verso la più parte degli uomini se non la loro ipocrita crudeltà?
- Pur se afferrassi tutti i pensieri che mi passano per fantasia! - [...] se non che, sì tosto scritti, m'escono dalla mente; e quando poi li cerco sovra la carta, ritrovo aborti d'idee scarne, sconnesse, fredde.
- Illusioni! grida il filosofo. - Or non è tutto illusione? Tutto! Beati gli antichi che si credevano degni de' baci delle immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell'uomo, e che trovavano il BELLO e il VERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intanto senza di essere non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida e nojosa indolenza; io me lo strapperò dal petto con le mie mani: e se questo cuore non vorrà più sentire, lo caccerò come un servo infedele.
- La virtù sempre infelice quaggiù persevera con la speranza di un premio - ma sciagurati coloro che per non essere scellerati hanno bisogno della religione!
- [Dio] Spogliati, deh! spogliati degli attributi di cui gli uomini t'hanno vestito per farti simile a loro. [...] E mormoro contro di te, e piango, e t'invoco, sperando di liberare l'anima mia - di liberarla? ma e come, se non è piena di te? se non ti ha implorato nella prosperità, e solo rifugge al tuo ajuto, e domando il tuo braccio or quando è atterrata nella miseria? se ti teme, e non ha in te veruna speranza? Nè spera, nè desidera che Teresa; e ti vedo in lei sola.
- Perseguitate con la verità i vostri persecutori.
Buone letture!
Cami