mercoledì 5 dicembre 2012

Bookcity Milano 2012: la mia esperienza (2 di 2)

Ciao a tutti, lettori e lettrici!

Eccoci con la seconda puntata dedicata alle conferenze che ho seguito durante Bookcity Milano: purtroppo non ci saranno altre puntate, perché ho partecipato solo a questi due incontri, ma spero proprio di potermi rifare, l’anno prossimo.

Basta perdere tempo in preamboli, ecco cosa si è detto durante la conferenza dedicata alla Bibliodiversità!

[N.d.C. Come nel precedente post, ogni interlocutore avrà un colore assegnato, così da trovare subito le loro risposte, a colpo d’occhio; le domande della moderatrice e del pubblico saranno evidenziate d’azzurro]

bookcity2

Rivediamo subito facce note, come Daniela di Sora ed Emilia Lodigiani (questa volta in veste di moderatrice) e facciamo la conoscenza di nuovi interlocutori, come Francesca Boragno, che gestisce la libreria omonima a Busto Arsizio, Rocco Pinto, libraio torinese, e l’altra metà del duo che gestisce Marcos y Marcos, ovvero Marco Zapparoli.

La Lodigiani non si fa problemi e affronta subito, senza mezzi termini, la questione: quali minacce si vogliono contrastare con il mantenimento della diversità? Come si ottiene questo obiettivo e, tra l’altro, è veramente buono e necessario? Per quali motivi? Non c’è il rischio di eccedere in senso opposto?

Marco Zapparoli non si fa intimidire dalla quantità e dalla portata delle domande e risponde subito dicendo che è bello che ci siano tanti editori, ma che conta soprattutto che ci siano “tante voci”, tante realtà che si distinguono in modo forte tra loro: se c’è la “voce”, unita alla competenza, ci sono più modi (stava per dire “sfumature”, ma è diventata una “parola vietata” dopo il caso editoriale di quest’estate) per rendere noto un libro. La combo perfetta, quindi, sarebbe la bibliodiversità unita alla varietà editoriale; anche perché puntare a vendere sempre di più la stessa tipologia di libro non piò che portare al crollo del sistema. Più voci equivalgono a una maggiore sostenibilità.
Aggiunge, inoltre, che anche la quantità di libri stampati è da regolare; gli indipendenti devono farlo per necessità, per migliorare e sostenere al meglio le proprie scelte, ma anche le grandi dovrebbero provare a “contenersi”. Mi permetto di aggiungere che, come ben sa chi ha letto la prima parte dedicata a Bookcity, Zapparoli parla ben conscio di quello che dice, visto che la Marcos y Marcos ha deciso di limitarsi a pubblicare tredici titoli l’anno.

Torna poi a parlare Daniela di Sora, confermando che gli indipendenti pubblicano meno titoli per forza e per scelta: in ogni caso, è necessario continuare a difendersi da una cultura che sembra ormai rappresentata solo da due o tre voci. La diversità è un arricchimento indispensabile e lei stessa, con la sua Voland, tenta di tener fede a questo proposito (e porta ad esempio la presenza di cinque autori bulgari tra quelli da lei pubblicati).

20121116_171331Riprende la parola Ginevra Bompiani, che profila la ricerca della bibliodiversità come uno scontro tra oligarchia di pochi grandi e democrazia – che magari porta ad avere tante “stupidaggini”, ma dà la completa possibilità di scelta e quindi permette di crearci una cultura personale e non imposta dal mercato. Conclude poi con una frase che ho trovato davvero molto bella e significativa: “Anche le voci che non gridano, che mormorano […] che fanno parte del silenzio, sono […] belle, interessanti, misteriose e con la bibliodiversità posso entrare nella nostra vita”.

Facciamo la conoscenza, quindi, di Francesca Boragno, che porta avanti la cartolibreria fondata dai suoi nonni a Busto Arsizio. Nemmeno lei ama girare attorno al problema e quindi sottolinea subito che i libri sono troppi e che è assolutamente necessario “tornare indietro”: la decrescita non è una scelta felice, ma è necessaria.
Parlando più in generale del proprio lavoro, afferma di poterlo classificare come “lavoro artigianale” (bisogna ordinare, scegliere, scaricare i pacchi, sistemarli… il computer aiuta solo fino a un certo punto, a quanto pare). La scelta dei libri si basa sia su ciò che effettivamente vende e serve, sia su una sorta di “sentimento romantico”.

Interviene poi il secondo libraio del gruppo, Rocco Pinto, che ha da poco aperto una piccola libreria a Torino, dove la i titoli proposti sono stati scelti appoggiandosi ai consigli dei lettori. La sua è una posizione più moderata: tanti libri (ovviamente, però, diversi), vanno bene. E’ quando “tanti” diventa “troppi” che le cose cominciano ad andare male, perché le novità durano troppo poco – lui stesso dice di non voler “evitare di essere soffocato da libri che scacciano i libri buoni”.

La moderatrice, Emilia Lodigiani, introduce un nuovo spunto di riflessione: se si cercano sempre più bestseller e si diminuiscono le tirature degli altri libri, come si può resistere all’omologazione? Inoltre, come si può mettere un argine agli “sconti selvaggi” (tenendo conto che la legge Levi non ha fatto molto e che abbiamo esempi, all’estero, decisamente più radicali).

La fondatrice di Nottetempo, dall’animo indubbiamente combattivo, afferma subito che lo Stato deve intervenire (non nasconde di “non essere liberista”). In Europa si stanno delineando due tendenze, riconducibili a due modelli: il primo è quello inglese, in cui il prezzo del libro è libero e che finirà per far chiudere prima i librai, poi i piccoli editori e le catene, lasciando piede libero ai supermercati che propongono i libri a prezzi stracciati e eliminando quasi totalmente la produzione di poesia e di traduzioni (entrambe poco remunerative). Il secondo, invece, è quello francese, in cui il prezzo del libro è fisso e lo sconto può arrivare al massimo al 5%: il risultato è un abbassamento generalizzato del prezzo, con gli editori che partono dagli stessi “blocchi” – senza contare che, in Francia, il mercato editoriale è riuscito a resistere piuttosto bene all’attuale crisi economica.
La legge Levi è, secondo lei, una “legge a metà”, la migliore possibile che si poteva ottenere all’epoca. Ora, però, i libri possono uscire immediatamente scontati durante il loro primo mese di vita, senza contare le promozioni – dov’è, dunque, l’utilità della legge? La sua opinione è che si sia è ridotto tutto al criterio puramente commerciale.

Daniela di Sora aggiunge subito che un’anomalia di cui si tiene poco conto è che i cinque grandi gruppi editoriali posseggono tutta la filiera dell’editoria, dalla produzione alla pubblicità, finendo per essere “poco democratici e nemmeno liberisti quanto si crede”.

Brochure-foto-Paolo-AntoniniTorna poi a parlare il fondatore di Marcos y Marcos, che evidenzia come l’asta al ribasso dei prezzi porti alla perdita, sul lungo termine, così come il rialzo per l’apposizione di sconti; è necessario attuare un progetto legato alla qualità e soprattutto al diritto di garantire la retribuzione di chi si occupa dei vari passaggi della filiera editoriale.

La signora Boragno sposta l’attenzione sulla realtà che conosce meglio, ovvero quella libraria, aggiungendo che il libro non è più un “bene”, ma una “merce”, e come tale viene venduto: tuttavia, molto domande fondamentali (a chi vendere, fino a quando, a che prezzo?) non trovano una risposta soddisfacente. Senza contare che i librai sembrano sempre fare la parte dei “cattivi” che non vogliono fare gli sconti, benché i loro consigli siano un servizio che offrono, gratuitamente, insieme alla vendita dei libri. Pensieri un poco amari, probabilmente dettati dalla difficile situazioni che molte piccole librerie vivono.

Si mantiene sullo stesso tono il signor Pinto: i librai “non vogliono sovvenzioni pubbliche”, ma devono capire che è necessario “fare rete”, proporre soluzioni (come quella dell’Associazione forum del libro, che prevede una bozza di legge sulla promozione editoriale) e non appoggiare una politica dei prezzi troppo discontinua, che li alza e abbassa a piacimento. Lamenta la mancanza di un progetto culturale solido, che porti ad una produzione vera, di qualità, contro una massiva ma inconcludente.

Torna a parlare la signora Bompiani, con un pensiero controcorrente rispetto a quanto detto finora: afferma che se il libro fosse considerato una merce, il lettore non si aspetterebbe di avere così tanti sconti. Spesso ci si dimentica che il libro ha un costo e proprio per questo ha un prezzo – “non si può pensare che la cultura sia gratuita, quello sarebbe il Paradiso, e noi non siamo in Paradiso” dice, in conclusione.

E proprio del prezzo parlano Daniela di Sora e la moderatrice, Emilia Lodigiani, che spiegano a noi presenti come il 50-60% del prezzo siano costi di produzione e che, per un libro di 10€, solo 3€ arrivano all’editore, che con questi soldi deve pagare la stampa, la traduzione, l’affitto degli uffici, gli stipendi degli altri collaboratori, giusto per citare le spese più importanti. I 7€ si dividono tra libraio (3€), distributore (3€) e autore (solo 1€!).
A questo punto cominciano le domande del pubblico. La prima affronta un argomento davvero spinoso, ovvero quella dei collaboratori non pagati, o pagati in ritardo – e in ogni caso, decisamente troppo poco. Fortunatamente è una piaga che non sembra affliggere le case editrici qui rappresentate; tuttavia, per quanto sia una pratica condannata all’unanimità, tutti i relatori sottolineano subito la mancanza di denaro e fondi soddisfacenti. La relatrice ci rivela che il fatturato totale dell’editoria, di 1.2 miliardi di euro, equivale a quello della Pasta Barilla – insomma, un intero settore che non può reggere il confronto nemmeno con una parte di una sola industria di altri settori. Tuttavia, Marco Zapparoli aggiunge che l’indotto dell’industria editoriale, nonostante i suoi introiti poco entusiasmanti, è vasto: ovvero, ci sono “molti” che, però, “mangiano poco”. Dà avvio, quindi, ad una difesa appassionata del proprio lavoro, scagliandosi contro il paradosso che identifica il libro come bene “non strettamente book_city_milanonecessario” e che spinge a credere di poterlo avere a prezzo qualsiasi (senza pensare che, con sconti e sovra-sconti, finirà che nessuno mangerà più). La sostenibilità, data anche da una sana concorrenza, è un obiettivo imprescindibile.

A questo si aggiungo l’annoso dilemma dell’e-book: da parte sua, la Marcos y Marcos ha deciso che non ne produrrà fino a quando non ci sarà la garanzia che non siano piratabili e che nel prezzo si possano contare anche i librai, nel rispetto della loro attività di grande valore culturale. Mi permetto di aggiungere una piccola nota personale: l’iniziativa della casa editrice è senz’altro lodevole (volere che ogni autore riceva degli introiti dai diritti d’autore è sacrosanto), ma se attendono veramente che gli e-book non siano piratabili… E’ brutto da dire, ma ci sarà sempre qualcuno che scoprirà modi di aggirare i DRM et similia e abbiamo visto come sta andando l’industria musicale, dopo che per anni si è mantenuto un atteggiamento di totale chiusura. Non dico di essere pro-pirataggio, tutt’altro! Sono fortemente contraria. Ma non produrre per paura di essere scaricati illegalmente non mi sembra il modo giusto di reagire.
Comunque, tornando alla conferenza: Zapparoli aggiunge che, per protesta contro la legge Levi, da quando è stata approvato non applicano più sconti e conclude con l’esortazione a promuovere la lettura, per creare persone desiderose di leggere e acquistare nuovi libri.

L’ultima domanda del pubblico si focalizza sulla necessità di recuperare i luoghi della lettura, come le biblioteche; il libraio Pinto si dichiara assolutamente d’accordo e auspica un maggior sostegno nei loro confronti sia da parte dei privati che del pubblico. Su questo pensiero si annuncia l’iniziativa “Adotta una Biblioteca”, che personalmente ritengo davvero fantastica.

Gli-organizzatori-di-BOOKCITY-MILANO-2012


E con questa nota speranzosa si è conclusa la conferenza e la mia piccola avventura a Milano Bookcity. Spero che queste due conferenze vi siano piaciute e che abbiate ottenuto stimoli interessanti: mi piacerebbe tantissimo sapere cosa ne pensate.

A presto; ho tanti post in preparazione che non vedo l’ora di farvi leggere!

Vostra,
Cami

14 commenti:

  1. "non si può pensare che la cultura sia gratuita, quello sarebbe il Paradiso, e noi non siamo in Paradiso"

    Va be', allora ammazziamoci e facciamo prima.
    Sono clamorosamente in disaccordo.

    "per un libro di 10€, solo 3€ arrivano all’editore [...] e autore (solo 1€!)"

    C'è comunque una sproporzione.
    Può anche essere che sia troppo "grasso" ciò che sta in mezzo, che è triste da dire, perché ci lavorano tante persone. O forse che si può ridurre i costi che "mangiano" quei 3 euro. Di sicuro non si può dire che l'autore ci guadagni. Anzi, quell'euro è una stima molto generosa considerando che i diritti sono solitamente del 6-8%. Tassati, presumo.

    Ancora sui DRM, ciò che chiede la MyM non è possibile. Ne deduco che non vedremo mai i loro ebook in commercio. Non resta che prendere atto, anche se mi spiace perché significa non essere presenti in un mercato emergente e in crescita.

    Piccola nota: per quale ragione l'editore dovrebbe includere nel prezzo i librai? Mettiamoci 1€ di solidarietà. Quell'importo a chi va? Ai librai? Le librerie on line prendono tutte già una percentuale sul prezzo, non sono diversamente-librerie? Piuttosto, s'industrino per vendere ebook nelle librerie.)

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    1. Per quanto riguarda il primo punto, io non posso dire di essere in totale disaccordo, più che altro perché penso che la Bompiani in questo caso si riferisse principalmente all'editoria - che è un'industria, questo non lo si deve dimenticare.

      Riguardo alla MyM, dispiace molto anche a me che abbiano deciso di seguire questa linea. Chissà, magari cambieranno idea, in futuro.
      Sul prezzo che deve comprendere anche i librai, ammetto di aver pensato anche io che un'ottima possibilità potrebbe essere la vendita degli e-book nelle librerie, fornendo i giusti supporti elettronici.

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    2. Sì, ma non è che se tu fai cultura a pagamento a un certo punto tutto ciò che è diverso (e ce n'è) diventa "impensabile". È una posizione estrema, questa.

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    3. Quello sicuramente sì. La Bompiani, devo dire, ha espresso molte "posizioni estreme".

      Ma tu un pochino ormai mi conosci, lo sai che io invece sono più per la mediazione :)

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    4. Anch'io, Camilla. Ed è per questo che Salomon è talvolta molto polemico! :D

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  3. Argomento spinoso e quanto mai interessante...io sono molto d'accordo con quel che dice Zapparoli, ma c'è da dire che in italia non sono molti a pensarla così e alla fine se non c'è accordo non c'è nessuna legge che tenga...sugli ebook hanno una visione un pò restrittiva e forse pindarica, ma gli editori a volte ci credono...

    di sicuro non è con lo sconto che si possono vendere i libri senza nuocere agli editori, ai librai e infine ai lettori stessi e lo dico da persona che si fa allettare dallo sconto ma che quando compra lo fa anche a prezzo intero...bisognerebbe tornare ad educare alla lettura e al libro non come semplice bene di consumo ma come strumento di conoscenza oltre che id intrattenimento...il libro è un prodotto speciale, difficile da catalogare ma impensabile non preservarlo...allora evviva i luoghi della lettura e auspichiamoci di averne di più...

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    1. Fragola, quanto hai ragione! Penso che far conoscere ai bambini il piacere della lettura sia un passo importante per cercare di risollevare l'editoria - i piccoli lettori di oggi saranno i grandi lettori di domani, c'è poco da fare. Non tutti, ovviamente - ognuno in fondo trova le sue passioni, crescendo - però dar loro la possibilità di scoprire quanto può essere bello leggere è senz'altro fondamentale.

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  4. Beh, adoro questi post. Grazie dei resoconti T__T
    E beh, neanche a dirlo che anch'io sarei per un calo della produzione, un abbassamento dei prezzi - è inutile stare tanto a parlarne, l'editoria è l'unico settore in cui si continua ad andare a spada tratta con prezzi improponibili senza considerare minimamente le tasche del pubblico. Ci credo che non ti compra nessuno, o libro che costi 21 euro e sei editato a muzzo. Non che questo riguardi tutte le case editrici, men che meno MarcosyMarcos o Iperborea, è una lamentazione da ligure un po' più generale. Però cavolo, le case editrici che stanno reagendo meglio sono quelle coi libri a prezzi più contenuti, vorrà pur dire qualcosa, no? Mah.
    Comunque sono stupita dalla scelta della MyM, la facevo più lungimirante. Anche perché credo sia una delle case editrici che vanta un legame più stretto coi propri lettori. Voglio dire, uno che ha fiducia nella MyM non sceglie di piratare i suoi libri. Almeno, una buona parte.
    (Comunque sappi che ti ho taggata in un piccolo meme natalizio, se hai voglia u_u)

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    1. Figurati, sono felice che ti piacciano! :3

      Concordo con quel che dici, ma mi permetto di dirti che sostituirei quel "coi libri a prezzi più contenuti" con "coi libri col miglior rapporto qualità/prezzo". Io, se il libro è perfettamente curato, sono disposta a spendere; il punto è che, a volte, manca la certezza di trovarsi davanti a libri (cartacei e digitali) che valgono i soldi chiesti.

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  7. "Bibliodiversità", anche solo il termine è davvero interessante! E poi l'omologazione è un terribile problema, quindi speriamo bene...

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    1. Piace un sacco anche a me!
      Vedremo cosa ci riserverà l'anno prossimo - sperando che sia all'insegna dell'innovazione :)

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