lunedì 29 dicembre 2014

Conclusioni di fine Dicembre e prospettive per il futuro: ciao ciao 2014!

Mie care lettrici, miei cari lettori,

ancora pochi giorni e saluteremo tutti l’anno in via di conclusione, pronti (almeno spero) ad accogliere il 2015 e le sue nuove avventure.
Gli ultimi di Dicembre si tende a riflettere sul periodo passato, su quanto si è o non si è ottenuto e/o raggiunto durante l’anno solare; tuttavia, io con questo post vorrei concentrarmi più su quel che verrà –  con le dovute eccezioni.
IMG-20141220-WA0022La più ovvia e la più significativa è la mia laurea: un obiettivo a cui tenevo molto e che sono felice d’aver raggiunto con un ottimo risultato. Spero mi perdonerete se gongolo un po’, ma ammetto che fa particolarmente piacere vedere premiati i propri sforzi. E visto che avevo promesso anche una foto di me medesima con il tanto sospirato alloro, eccola, qui di lato; la luce è un po’ quel che è, ma penso che il succo dell’immagine sia chiaro, no? Spero che il sorriso a trentadue denti riesca a veicolare la gioia che ho provato in quei momenti, anche grazie agli amici e parenti che mi hanno accompagnata.
Ho anche qualche video della giornata – compreso il famigerato salto della siepe, tradizione dell’università, che a sorpresa ho superato abbastanza dignitosamente – ma quelli rimarranno al sicuro nella memoria del mio cellulare, onde evitare figure barbine con voi che tutto sommato (forse!) continuate a considerarmi un persona seria.

Dato un ultimo sguardo al passato recente, buttiamoci subito sul futuro che si avvicina. Innanzitutto, cosa dovrete aspettarvi da Bibliomania, nel 2015?
Sicuramente una maggior frequenza nella pubblicazione dei post. Quest’anno, con i vari impegni che mi hanno preso tempo ed energie, ho scritto a malapena una ventina di post; era successo lo stesso l’anno della mia maturità, quindi me l’aspettavo. Durante il 2015 sarò ancora (si spera!) impegnata, ma voglio comunque tornare ad almeno un post a settimana, se non di più. Per molti blogger probabilmente è un’inezia, ma personalmente lo ritengo un obiettivo nelle mie corde e, soprattutto, raggiungibile: trovo che puntare a mete impossibili non mi sia d’aiuto.
Inoltre, vorrei riprendere i post dedicati a I Miserabili – il progetto ha preso un po’ di polvere, ma di certo non è stato dimenticato! – e dare avvio a una nuova rubrica, di cui vi parlerò quando avrò deciso come organizzarla, con che frequenza pubblicarla e altri dettagli di questo tipo.
Sempre a proposito di rubriche, spero di riuscire a rendere questi post mensili un po’ più personali: mi sono resa conto di averli usati spesso per mostrarvi i miei nuovi libri e poco più, e la cosa non mi piace. Voglio che siano appuntamenti adatti anche per chiacchiere più leggere e per discorsi non soltanto letterari, per conoscervi e farmi conoscere meglio.
Mi piacerebbe anche cambiare un poco la grafica: niente di rivoluzionario, giusto qualcosa che snellisca la pagina, che ora (pur piacendomi) mi sembra un po’ troppo “barocca”.

Per quanto riguarda invece gli obiettivi letterari, in generale spero di continuare sulla scia di quest’anno. Vorrei perseverare nel variare le letture, dedicandomi sia a testi importanti e complessi, sia a storie più leggere e d’intrattenimento; e vorrei cercare di leggere più libri provenienti da culture diverse dalla nostra (e viaggiare un po’, tra le pagine, fino a paesi lontani).
Senza contare la necessità di leggere i libri che già possiedo: non mi porrò nuovamente il veto d’acquisto, ma – come ho fatto anche durante il 2014 – rifletterò molto prima di prendere nuovi titoli. Al momento, in camera mia, ci sono più di duecento libri non letti; e questo non tiene conto dei libri dei miei e di mio fratello. Insomma, direi che ho già un buon parco scelte, quindi trattenermi non sarà poi troppo difficile!

Questo è tutto; con questo post mi congedo dal 2014 letterario. Spero che sia stato un anno denso di soddisfazioni e scoperte anche per voi, e soprattutto spero che il 2015 continui su questi stessi binari.

Vi mando un abbraccio e un augurio di buone feste!

Vostra,


Cami

mercoledì 24 dicembre 2014

Tre gradi (#12) e buon Natale!

Cari lettori, care lettrici,
finalmente è arrivata la Vigilia! Che voi festeggiate o meno il Natale, spero che passerete una bella serata in compagnia dei vostri cari. Qui a casa mia arriverà un buon numero di parenti, come sempre, e si mangerà fino a scoppiare: insomma, ci si godrà una tipica Vigilia.
Intanto, ho pensato di dover portare una ventata di spirito natalizio anche qui, e di pubblicare una puntata di Tre gradi a partire proprio delle feste in corso (con un piccolo twist).

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PRIMO GRADO
Il libro che ho scelto è…


La lega antiNatale - M. CurtinLa lega antiNatale di Michael Curtin 1999 – Marcos y Marcos (League Against Christmas – 1989 – André Deutsch Ltd.)
Un irlandese disoccupato rimpiange che non gli abbiano spaccato la testa ventiquattro anni prima, quando giocava a rugby. Un commercialista ama travestirsi da donna ma teme gli venga un colpo e lo ritrovino morto in guèpière in una stanza d'albergo. Un ex dirigente molla tutto per dedicarsi a una missione: diffondere il linoleum nel mondo. La bellissima, agguerritissima boss di "Unipolitan" cerca un vero maschio al solo scopo di fare il contrario di quel che dice lui. Cos'hanno in comune? Il profondo desiderio di concedersi una partita a carte, una partita a whist. Tutti i mercoledì sera al King's Arms Pub, a Londra. Soprattutto, spinti da un odio profondo e sincero per il Natale, li unisce un piano di sabotaggio per vilipendere e liberarsi una volta per tutte dalla Festa delle Feste...

Perché è nella Lista dei Desideri? Perché l’Irlanda e gli irlandesi mi stanno simpatici a pelle, perché i personaggi particolari e un po’ strani mi ispirano sempre e perché l’idea di una Lega antiNatale mi sembra un escamotage interessante per parlare di feste e compagnia cantante – senza contare che il loro piano sarà per forza di cose assurdo e comico, e a volte ho bisogno anche di leggere libri con trame di questo tipo.


SECONDO GRADO
Curtin è un cognome tipicamente irlandese; e irlandese è l’ambientazione e la nazionalità dei personaggi del libro. Non ho potuto fare a meno di pensare a un altro romanzo proveniente dall’isola di smeraldo…

Agnes Browne mamma - B. O'Carroll
Agnes Browne mamma di Brendan O’Carrol 2008 – Neri Pozza (The Mammy – 1994 – The O’Brien Press)
Agnes Browne, trentaquattro anni, bella, proletaria, simpatia irresistibile. Ha un banco di frutta e verdura al mercato del Jarro, turbolento quartiere popolare di Dublino, sette figli come sette gocce di mercurio e un'autentica venerazione per Cliff Richard. Purtroppo ha anche un marito che lascia i suoi guadagni agli allibratori, per poi rifarsi con lei a suon di ceffoni. Ogni mattina Agnes esce di casa alle cinque per incontrare l'amica Marion e iniziare insieme la giornata, in allegria, e il venerdì sera gioca a bingo, per poi finire al pub davanti a una pinta di birra e un bicchiere di sidro. Ma, un bel giorno, Rosso Browne muore, lei rimane sola e... incomincia a godersi davvero la vita.

Perché è nella Lista dei Desideri? Ne ho sentito parlare davvero bene da molte persone e su molti blog; un buon numero di persone dei cui gusti mi fido hanno amato questo romanzo. E Agnes sembra un peperino, un personaggio fantastico da seguire: penso proprio potrei affezionarmi a lei e alla sua famiglia!


TERZO GRADO
Agnes Browne è, come da titolo, una madre; e il prossimo romanzo fa della figura materna, presente nella sua assenza, il perno centrale.


Autobiografia di mia madre - J. KincaidAutobiografia di mia madre di Jamaica Kincaid
1997 – Adelphi (The Autobiography of My Mother – 1995 – Farrar, Straus and Giroux)
Jamaica Kincaid appartiene alla schiera degli autori che, nati alla «periferia dell’impero» (nel suo caso ad Antigua, nei Caraibi), hanno immesso nuova linfa nella letteratura di lingua inglese. Fin dall’inizio la sua voce si è rivelata penetrante, precisa, inconfondibile. Ma con l’Autobiografia di mia madre si è d’improvviso arricchita di tonalità cupe e vaste risonanze, quasi giungesse a noi portata dal «vento nero e desolato» che incessantemente soffia alle spalle della protagonista. È una storia di solitudine e insanabile risentimento, di insofferenza per la «stanza nera del mondo», che assume qui il profilo di paesaggi lussureggianti. Le vicende di Xuela, di madre cariba e padre per metà scozzese e per metà africano, abbandonata insieme a un fagotto di panni sporchi dopo che la madre è morta di parto, dispiegano un variegato itinerario nell’infelicità, dove le durezze del mondo si scontrano con un carattere roccioso, torvo e visionario. E a ogni passo la vita di Xuela si intreccia con quella di un fantasma, la madre non conosciuta, colei che non ha potuto raccontare la sua vita e l’ha attraversata come «fossile vivente» del popolo caribo.

Perché è nella Lista dei Desideri? Sembra un titolo di valore letterario, si incentra su un rapporto familiare difficile (argomento che, se ben trattato, è foriero di storie e argomenti sempre in mutamento) ed è scritto da una donna caraibica, nazionalità di cui non credo d’aver mai letto nulla – e quindi la curiosità di scoprirne lo stile raddoppia. Inoltre, il titolo mi ha intrigata sin da subito.

E con questo è tutto; vi auguro di nuovo un buon Natale e buone feste!

Un abbraccio,
Cami

mercoledì 17 dicembre 2014

Mini-recensioni: tre libri per un post (#11)

Buongiorno a tutti, lettori e lettrici!

Spero che il vostro Dicembre stia procedendo bene. Io sto rannicchiata sotto una copertona con bevande calde varie e mi godo il calduccio dentro casa, mentre giro tra i blog per vedere cosa mi sono persa nell’ultimo periodo. E penso ai regali di Natale che devo ancora comprare questa settimana.
Intanto, ho deciso di ricominciare subito a condividere con voi le mie opinioni su alcune delle ultime letture e penso proprio che, almeno per i primi tempi, le concentrerò soprattutto in una serie di mini-recensioni: un po’ per riprendere la mano, un po’ perché vorrei riprendere il ritmo e questo tipo di post, che di solito scrivo più rapidamente rispetto alle recensioni singole, è perfetto per l’occasione.

Comincio questa prima triade con un titolo che purtroppo, nonostante avessi già aspettative tutto sommato basse, è riuscito a deludermi molto: si tratta di Bones (Bones: Buried Deep in lingua originale), di Max Allan Collins.

Bones - M. A. Collins

Pagine:245
Editore:Rizzoli
Traduzione:Adria Tissoni
Anno:2007
ISBN:978-88-17-01835-7

Trama:Bones e Booth collaborano di nuovo insieme quando un sacco pieno di ossa viene lasciato proprio di fronte a un edificio federale. Quando si scopre che le ossa provengono da varie persone e che ci potrebbe essere un collegamento con la mafia, le indagini si fanno sempre più intricate e pericolose.

Ho ricevuto questo libro in regalo, attraverso un giochino su Anobii. Dubito che l’avrei letto altrimenti; la serie TV Bones mi piace molto, fa parte di quel filone investigativo in cui anche le vite dei personaggi principali hanno molto screen time (quasi al livello di un cozy mystery, se chiedete la mia) che mi piace guardare quando cerco divertimento e relax, ma non sono appassionata a livelli tali da procurarmi un libro coi suoi personaggi – anche perché la serie di per sé è tratta liberamente dalla serie di libri di Kathy Reichs, e quindi nella mia mente si creava un cortocircuito metaletterario-televisivo non indifferente.
Tuttavia, dato che ormai era sui miei scaffali, e occupava spazio, ho deciso di leggerlo. E ho scoperto, nonostante mi aspettassi poco, che avrei potuto tranquillamente farne a meno.
Non solo non è un buon giallo/thriller, ma non è nemmeno una buona lettura per chi è un fan della serie: il che lo rende essenzialmente inutile.
Se avesse avuto una trama con uno svolgimento accattivante, sospetti ambigui, uno sviluppo in grado di creare dubbi sull’effettiva identità del colpevole, questo si sarebbe potuto definire un giallo: invece, una volta messe in tavola le carte, l’assassino è subito identificabile, ovvio in maniera fastidiosa, e le investigazioni di Bones e Booth sembrano annacquate, come se si fosse allungato il brodo per aggiungere pagine. Già questo è molto fastidioso; ma ero disposta a essere magnanima (d’altronde, neanche la serie TV è nota per delitti particolarmente machiavellici). Tuttavia, anche la caratterizzazione dei personaggi è, per quanto mi riguarda, totalmente sbagliata: e questo – in un titolo che nasce quasi come “fanfiction ufficiale” – è assolutamente inaccettabile. L’autore non è riuscito a rendere il rapporto che c’era agli inizi tra Bones e Booth (è ambientato in quella che potrebbe essere la prima, massimo la seconda stagione di Bones), non ha dato la giusta voce a Hodgins e Zack Addy, non ha reso, insomma, quello che per me è il motivo fondamentale di riuscita dello show: i personaggi e i loro rapporti.
La scrittura, perlomeno, è scorrevole; senza infamia e senza lode. Fosse stato diversamente, non credo sarei riuscita a finire questo libro.
Insomma, questo è uno di quei casi in cui la stella singola è, purtroppo, necessaria.

Voto:
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      4


Passiamo a un altro giallo, fortunatamente molto più piacevole: La regina dei castelli di carta (il cui titolo originale è Luftslottet som sprängdes), di Stieg Larsson. Ovviamente, ci sono spoiler per chi non ha letto il primo e il secondo libro; non farò anticipazioni, invece, sulla trama di quest’ultimo capitolo della trilogia Millennium.

La regina dei castelli di carta - S. Larsson

Pagine:857
Editore:Marsilio Editori
Traduzione:Carmen Giorgetti Cima
Anno:2007
ISBN:978-88-31-79677-4

Trama:Lisbeth è in ospedale e lotta per la sua vita: l’incontro con Zalachenko ha lasciato entrambi in condizioni critiche. Intanto Blomkvist comincia a dipanare la matassa d’intrighi che coinvolge la giovane hacker ed è pronto a smantellare e rendere pubbliche congiure che vivono all’interno del cuore stesso del governo svedese.

Ero curiosa di scoprire come si sarebbero concluse le vicende di Lisbeth e di Mikael. Sapendo che l’autore era (purtroppo) venuto a mancare con l’idea di scrivere ancora molti romanzi legati a questa strana coppia investigativa, temevo che la lettura di questo libro mi avrebbe lasciata con una qualche sensazione di inconcludenza; invece, con mia grande soddisfazione, credo che questo fosse comunque un ottimo volume con cui chiudere il cerchio.
Non solo veniamo finalmente a capo di tutti i misteri che circondano l’infanzia e l’adolescenza di Lisbeth (almeno, quelli maggiori), ma riusciamo anche ad ottenere una soluzione soddisfacente; non volendo anticipare nulla eviterò di dire come e in che modo, ma ammetto che la sete di giustizia che alcune delle tematiche di questo libro fanno sorgere è stata placata in maniera per me soddisfacente. Inoltre nel corso della trama si svelano molti retroscena che risalgono anche a parecchi decenni prima delle vicende narrate – e devo dire che anche in questo caso la storia mi ha intrattenuta e tenuta incollata alle pagine.
I personaggi sono sempre interessanti e particolari: Mikael e Lisbeth si mantengono sfaccettati, intelligenti e affascinanti come sempre, veniamo a conoscere qualche dettaglio in più sulla sorella di Mikael,  Annika, che è tosta quanto il fratello, e incontriamo ancora Dragan Armanskij, che a me è sempre piaciuto molto. Anche gli antagonisti, benché meno approfonditi, risultano intriganti e, soprattutto, veritieri. La Berger risulta un po’ meno pregnante in questo romanzo, e le sue vicende, per quanto comunque d’intrattenimento, mi sono piaciute un filo meno rispetto a quelle che coinvolgevano il duo principale.
Lo stile di Larsson, allo stesso modo, rimane buono, esattamente come nei due libri precedenti; non si tratta di niente di incredibile, ma fa il suo dovere e soprattutto dà un ritmo quasi indiavolato alla lettura, permettendo di leggere questo piccolo mattoncino in un lasso di tempo incredibilmente breve. Peccato per alcuni dettagli molto fastidiosi, come la tendenza dell’autore a riferirsi continuamente ai personaggi in scena per nome e cognome, che già solo dopo una decina di pagine si fa – in tutta onestà – piuttosto irritante.

Voto:
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                7,5


Infine, parliamo di una raccolta di racconti di un autore italiano, scoperta per caso mentre girovagavo su Anobii: Bestiario  stravagante di Massimiliano Prandini.

Bestiario stravagante - M. Prandini

Pagine:143
Editore:Damster Edizioni
Anno:2010
ISBN:978-88-95-41229-0

Trama:Tra vampiri alternativi, contabili con oscuri segreti, netturbini perseguitati da presenze inquietanti e animali con occupazioni poco ordinarie, i protagonisti dei racconti di questa raccolta sono senz’altro particolari, per usare un eufemismo. Con un tono che varia dal serio al comico, lo scrittore li mette sulla nostra strada e ci fa conoscere le loro storie.

Ho incontrato questo libro per caso. Girovagando tra le catene di lettura di Anobii, organizzate nella maggior parte dei casi dagli autori stessi, sono stata colpita dal titolo bizzarro; e leggendo la presentazione dell’autore, che dava la possibilità di scaricare gratuitamente il libro (distribuito sotto licenza Creative Commons), ho pensato che effettuare il download e caricarlo  sul mio reader fosse un’ottima idea. Convinta ulteriormente dalla copertina, l’ho lasciato riposare un po’ nella mia biblioteca virtuale; e più o meno all’inizio di quest’anno l’ho letto, con gusto, sogghignando tra me e me e godendomi le svolte inaspettate delle trame di questi racconti  ben costruiti.
Trovo che progettare e scrivere un racconto sia spesso più difficile che delineare epopee di ampio respiro: la brevità della forma costringe l’autore a una scrittura più limata, che deve portare il lettore a un’immersione e a una partecipazione uguali a quelle che proverebbe leggendo un romanzo, ma con un numero di pagine decisamente minore. In questo caso, Prandini riesce – la maggior parte delle volte – a raggiungere l’obbiettivo e a creare storie che vivono perfettamente nella loro misura breve, spesso inserendo un plot twist finale che rende ogni lettura imprevedibile. In particolare, Dieci giorni al Barbacane (il racconto che apre la raccolta, il mio preferito tra tutti) riesce a infondere nel finale un’inquietudine e una curiosità che mi hanno positivamente colpita; Scendono le ombre della sera, allo stesso modo, gioca con il concetto di reale e immaginario per sfruttare l’incertezza del protagonista, che si riflette sul lettore, creando un finale inaspettato e inquietante. In effetti, questa vena d’inquietudine, d’orrore, è un elemento ricorrente dei racconti, e la stravaganza del titolo assume anche la connotazione tipica del perturbante. Trovo che i racconti più riusciti nell’esprimere queste sensazioni siano La cantina, Il cassonetto numero 73 (anche se in misura minore) e, di nuovo, Scendono le ombre della sera. Anche Sogni – il racconto conclusivo – sebbene per motivi diversi, potrebbe far parte di questo gruppetto. Altri racconti invece, purtroppo, non riescono a inquietare il lettore, nonostante l’intenzione sia evidentemente quella: parlo, in particolare, de Lo specchio, che tratta di una situazione banale al limite del cliché, e non abbastanza ben sviluppata per risollevarsi dalla prevedibilità della trama.
Paradossalmente l’altro elemento distintivo di questa raccolta è l’umorismo, spesso virato verso il nonsense, che sorregge alcuni dei racconti: in Vacche magre, ad esempio, c’è un vampiro che deve trovare un modo per campare e che escogiterà alcune strategie decisamente simpatiche. Altri racconti invece, per quanto mi riguarda, spingono un po’ troppo e finiscono per diventare poco piacevoli: ad esempio, non ho per niente apprezzato Vergine 4.7, forse anche perché i protagonisti mi sono sembrati male abbozzati.
Lo stile di Massimiliano Prandini, per concludere, è molto piacevole e scorrevole. Talvolta le voci narranti dei diversi racconti s’assomigliano un po’ troppo, e la mano dell’autore si fa vedere più di quanto sarebbe necessario; ma in generale riesce a dare il giusto ritmo alla storia e a caratterizzare come si deve i vari protagonisti. In definitiva, sono felice di averlo scoperto, e penso leggerò altri suoi libri.

Voto:
stellinestelline
            7

domenica 14 dicembre 2014

Di sospirati ritorni, lauree e tanta gioia

Mie care lettrici, miei cari lettori,

quanto è bello scrivere finalmente, di nuovo, queste parole! Mi sono resa conto quanto mi sia davvero mancato dedicarmi a questo mio spazio nel momento in cui ho cominciato a digitare i soliti saluti: nel farlo ho sentito la nostalgia allontanarsi per fare posto all’allegria.
Ho finito. La tesi è stata scritta, stampata e discussa. Il risultato finale sarà confermato ufficialmente durante la proclamazione, ma si può dire che io sia ormai Dottore in Lettere a tutti gli effetti; è una gran bella sensazione, qualcosa che mi dà calma e soddisfazione. E visto che mi avete sopportata mentre studiavo e soffrivo per gli esami, e avete aspettato pazientemente mentre mi dedicavo anima e corpo alla mia piccola creazione, mi sembra solo giusto ricominciare a postare qui condividendo, innanzitutto, una foto del mio piccolo orgoglio blu chiaro:

tesi2

Presto ricomincerò a pubblicare recensioni e rubriche a ritmo regolare, e a condividere con voi pensieri e letture; è davvero bello essere tornata.

Vi ringrazio di nuovo per la vostra pazienza, e ringrazio chi sarà ancora qui a leggere Bibliomania. È tempo di tornare al lavoro!

Un abbraccio a tutti,

Camilla

martedì 14 ottobre 2014

Warm Bodies–Isaac Marion

Miei cari lettori! Sappiate che, anche mentre scrivo la tesi, un pensiero corre sempre a Bibliomania e a voi. Oggi, in un momento di pausa, mi sono decisa a sistemare questa recensione che avevo nel cassetto da un po’ e a pubblicarla.

Non vedo l’ora di poter tornare a scrivere qui in maniera più frequente; nel frattempo, cercherò di sfruttare i miei pochi momenti liberi. E ho anche in mente qualche ideuzza per non lasciare il blog del tutto a se stesso.

Nel frattempo, buoni libri e buona lettura!

Warm bodies - I. MarionTitolo:Warm bodies
Autore: Isaac Marion

Anno:2010

Editore: Fazi Editore
Traduzione: Tiziana Lo Porto
ISBN:
978-88-7625-122-1

Pagine:280

Trama:Un’epidemia zombie ha distrutto la civiltà per come noi la conosciamo. Gli umani sopravvivono come possono nelle loro roccaforti, gli zombie cacciano e cercano cervelli. Tuttavia, i non-morti sembrano essere più di cadaveri ambulanti: perlomeno R, zombie pensante, lo è di certo. E quando incontrerà Julie, nelle circostanze meno favorevoli immaginabili, il suo mondo comincerà a cambiare.

Zombie in crisi esistenziale. È questa frase che mi ha spinta a informarmi su Warm Bodies, a chiedermi come potesse svilupparsi una storia in cui un essere in decomposizione, apparentemente incapace di comunicare alcunché e di provare empatia, si rivela più vicino alla condizione umana di quanto non si pensi solitamente. In questo senso, il libro mi ha dato esattamente quel che cercavo; purtroppo, è il resto che ha reso la lettura meno entusiasmante di quanto sperassi. La sensazione è che Isaac Marion potesse dare molto, molto di più.
Non tanto per quanto riguarda lo stile, a dire il vero: quello di Marion è piacevole, intrigante, lapidario quando serve e con un gusto per le immagini oniriche che, quando giocate bene, costruiscono un’atmosfera sempre in bilico tra una luce rosata e calda e un filtro violaceo, freddo e scuro. Inoltre, descrive la violenza quando serve, pur senza indulgervi troppo, riuscendo a trasmettere la sensazione di pericolo e urgenza in cui vivono gli umani, così come la frenesia degli zombie durante l’attacco.
Purtroppo, tutto questo non serve a migliorare la resa dei personaggi “viventi”, né a mettere delle toppe su certi sviluppi della trama poco sensati, e neppure a rendere meno indigesto il messaggio morale che Marion vuole per forza far recepire al lettore.

È vero, non si vive di solo pane; gli affetti, l’arte, tutto ciò che non facciamo solo per mera sopravvivenza ci definisce come esseri umani. Non aprirsi alla possibilità di vivere anche questi aspetti dell’esistenza non ci rende diversi dagli zombie che popolano questo e altri libri, film e chi più ne ha, più ne metta; e opporsi al cambiamento, ogni tipo di cambiamento, non ci rende diversi dagli ossuti.
Tutto bellissimo, tutto vero, ma Marion lo sbatte in faccia al lettore con paragoni sottili come una trave in un occhio, spesso sottolineati direttamente nella narrazione: le città-stadio in cui si sono rifugiati gli umani sono uguali all’aeroporto in cui stanno gli zombie, alcuni esseri umani assumono atteggiamenti da zombie e non sembrano essere meglio dei non-morti. Come lettrice, e come essere umano di media intelligenza e capacità di comprensione, credo mi sarei resa conto dei parallelismi anche senza essere imboccata a forza dall’autore col significato profondo posto a fondamento della narrazione.
Mi infastidisce soprattutto perché all’inizio mi era sembrato che Marion non fosse caduto in questa trappola, anzi: la narrazione umoristica della situazione di R, tragica e ridicola insieme, sembrava allontanarsi da metafore spicce e indirizzarsi più verso una narrazione intrigante, soprattutto quando l’autore descrive la semi-società dei morti viventi, che intriga e disgusta.

Ammetto, però, che a infastidirmi ancora di più è stata la caratterizzazione carente degli umani: i comprimari sono bozzetti creati con l’accetta, simpatici a volte (come Nora) ma nulla di più. A deludermi, in particolare, è stata Julie – ovvero la protagonista femminile. Ora, io riponevo grande fiducia in questo personaggio, perché nell’originale shakespeariano (da cui prende ispirazione questo libro) per me è lei la vera eroina della situazione; invece, la Giulietta di turno mi ha deluso molto. In due parole, e perdonatemi la brutalità, Julie è un’idiota di prima categoria, una che non so davvero come sia sopravvissuta tanti anni in un mondo popolato da zombie. Oltretutto, la sua reazione a R e al suo approccio è assolutamente priva di senso.
Non mi ha sconvolta più di tanto la sua reazione al destino di Perry (ragazzo cui è molto, molto legata) che mi è parsa a modo suo plausibile: è la facilità con cui si lascia avvicinare da R – non fisicamente, ma sentimentalmente – ad essere irritante. Ecco, in questo si potrebbe dire che la riproposizione di Romeo e Giulietta segue esattamente il canovaccio “originale” del sentimento che nasce e culmina in troppo poco tempo per essere credibile – ma visto che ha cambiato tante cose, Marion poteva anche avere il buon gusto di rallentare un poco la narrazione e rendere più credibile l’avvicinamento di Julie e R.

La fretta, a voler ben vedere, è anche il difetto che caratterizza la chiusura del romanzo: quando mi sono resa conto, leggendo, che mancavano al massimo una decina di pagine alla conclusione, ho subito sospettato che la vicenda non avrebbe avuto una conclusione abbastanza ben sviluppata. Così è stato, purtroppo: tutto troppo rapido e veloce, tutto che si risolve fin troppo nettamente, mi verrebbe da dire, con i protagonisti che non si devono nemmeno impegnare troppo. Come se si fosse cercato di montare una climax che poi, purtroppo, non è arrivata a un culmine definitivo.

Mi rendo conto, riguardando quel che ho scritto, di aver calcato soprattutto su quello che di questa lettura non mi è piaciuto; ma credo di averlo fatto spinta in parte dalla coscienza che, di opinioni prettamente positive, ne troverete a iosa nel vasto mare di Internet. Inoltre, avevo anche un leggero bisogno di sfogarmi: l’ho già scritto e lo ripeto, c’erano tutti gli ingredienti per un gran romanzo, e invece il risultato finale è senza infamia e senza lode. Ho idea, comunque, che Isaac Marion abbia il potenziale per scrivere questo ipotetico bel libro, magari con ingredienti nuovi. Uno stile personale, in fondo, l’ha già: si tratta solo di sfruttarlo per una storia meglio sviluppata.
Dedico le ultime parole all’edizione italiana: sono contentissima che abbiano mantenuto le illustrazioni anatomiche a inizio capitolo e, in tutta onestà, non mi dispiace nemmeno la copertina (più dedicata al tema zombie che a quello della relazione romantica, il che mi fa piacere – ormai mi conoscete). Mi ha un poco infastidita, invece, la presenza di alcuni refusi – di cui uno in quarta di copertina! Per carità, non sono molti (giusto un paio), ma mi sembra comunque corretto farlo notare.


Voto:
stellinestelline
          6,5


Frasi e citazioni che mi hanno colpita…

  • Sono morto, ma non è poi così male. Ho imparato a conviverci. Mi spiace di non potermi presentare come si deve, ma non ho più un nome. Quasi nessuno di noi ce l’ha. Smarriti come chiavi di automobili, dimenticati come anniversari. Il mio credo cominciasse per “R”, ma è tutto ciò che so. La cosa buffa è che, fintanto che ero vivo, non facevo che dimenticare i nomi degli altri. Il mio amico “M” dice che uno dei paradossi dell’essere uno zombi è che è tutto buffo, ma non puoi ridere, perché le labbra si sono putrefatte. […]
    Non conosco nessuno che abbia ricordi precisi. Solo una vaga conoscenza residua di un mondo che non c’è più. Immagini sbiadite di vite passate che s’attardano come le membra di un fantasma. Riconosciamo gli edifici frutto della civiltà, le macchine, una visione d’insieme – ma in cui non abbiamo alcun ruolo individuale. Nessuna storia. Noi siamo qui e basta. Facciamo quel che facciamo, il tempo passa e nessuno pone domande. E tuttavia, come ho già detto, non è poi così male. Potremmo sembrare degli idioti, ma non lo siamo. Gli ingranaggi arrugginiti della ragione continuano a funzionare, anche se vanno talmente lenti che dall’esterno il movimento è quasi impercettibile. Ci lamentiamo e brontoliamo, facciamo spallucce e annuiamo, e di tanto in tanto viene fuori anche qualche parola. Non è poi tanto diverso da prima.
    Ma l’aver dimenticato come ci chiamiamo mi rende molto triste. Tra le tante cose, questa mi sembra la più drammatica. Il mio nome mi manca e mi spiace per quello degli altri, perché vorrei amarli, ma non ho idea di chi siano.
  • In migliaia abitiamo dentro un aeroporto abbandonato alla periferia di una qualche metropoli. Non che abbiamo bisogno di ripararci o riscaldarci, ma ci piace avere pareti e tetti sopra la testa. Altrimenti vagheremmo in un campo aperto chissà dove, e quello sì che sarebbe un orrore. Non avere niente intorno a noi, niente da toccare né da guardare, nessun tipo di confine, solo noi e le fauci spalancate del cielo. Immagino che essere totalmente morti sia così. Un vuoto immenso e assoluto.
  • C’è un abisso tra me e il mondo al di fuori di me. Un gap così grande che i miei sentimenti non possono attraversarlo. Nel tempo che impiegano ad arrivare dall’altra parte, le mie urla si riducono a semplici mormorii.
  • Agli Arrivi c’è una piccola folla che ci attende; ci guardano con gli occhi – o le orbite – affamati. Molliamo il carico per terra: due uomini quasi intonsi, qualche gamba carnosa e un torace smembrato. Tutto ancora caldo. Chiamateli resti. Chiamatelo cibo take away. I nostri amici Morti si abbattono su di loro e banchettano lì sul pavimento, come animali. La vita rimasta in quelle cellule impedirà loro di essere totalmente morti, anche se i Morti che non vanno a caccia non sono mai del tutto appagati. Come uomini in mare che non possono mangiare frutta fresca, avvizziranno per mancanza di vitamine, deboli e sempre vuoti, perché la nuova fame è un mostro solitario. Lei accetta a malincuore la carne scura e il sangue tiepido, ma brama l’intimità, quella spietata sensazione di essere connessi che si stabilisce tra i loro occhi e i nostri in quegli istanti finali, come una sorta di negativo oscuro dell’amore.
  • La stringo contro di me. Voglio essere parte di lei. Non solo dentro di lei ma tutto intorno a lei. Voglio che i nostri toraci si spalanchino e i nostri cuori migrino e si fondano. Voglio che le nostre cellule si mescolino come la trama della vita.
  • «Non esistono parametri su come “dovrebbe” andare la vita, Perry. Non c’è alcun mondo ideale ad attenderti. Il mondo è sempre ciò che è adesso, e sta a te trovare un modo per reagire».
  • «Tutto muore alla fine. Lo sappiamo. Persone, città, civiltà intere. Non c’è niente che duri. Per cui se l’esistenza fosse solo binaria, morte o vita, qui o non qui, quale sarebbe il senso del tutto?». Guarda qualche foglia caduta e allunga un braccio per prenderne una, una foglia di acero rosso fiammante. «Mia madre diceva sempre che è per questo che siamo stati dotati della memoria. E del suo opposto: la speranza. Così le cose che non ci sono più continuano a essere importanti. Così possiamo sbarazzarci del passato e costruire il futuro».
  • Che immensa responsabilità è vivere da creatura che possiede principi morali.

venerdì 19 settembre 2014

Te lo saresti mai aspettato, cinque anni fa?

Te lo saresti mai aspettato, cinque anni fa? È quello che mi chiedo da stamattina, da quando mi sono svegliata e mi sono resa conto che è il 19 Settembre, e che cinque anni fa ho scritto e pubblicato il primo post di quello che, oggi, è Bibliomania.

3aeff28e4549d0183d0b7901db979efdCi penso mentre studio, mentre rifletto sulla tesi, mentre mi avvicino sempre più velocemente alla mia laurea: penso, soprattutto, a che persona sarei se non avessi deciso di imbarcarmi in questa avventura. Senza voler fare retorica, penso sarei molto più povera, a livello umano e culturale; avrei qualche dubbio in più, crucci diversi a riempirmi la mente, tanti amici e un rifugio in meno.
È per tutto questo che la mia (momentanea) assenza forzata mi pesa tanto: non potermi dedicare quanto vorrei a Bibliomania, ora che sento di averne le forze, che ho tutto l’entusiasmo che è necessario, mi innervosisce molto. D’altra parte, so anche che impegnarmi al massimo sul fronte accademico ora mi permetterà, dopo la discussione della tesi, di lanciarmi a pesce nella blogosfera senza sensi di colpa di alcun tipo.

Insomma, rispetto agli scorsi anni, questo compleblog è un po’ strano, un po’ in sordina. Ma non è affatto meno sentito, anzi: solo pensare al fatto che Bibliomania è online da un lustro, da mezza decade, mi mette addosso una gioia incredibile (e anche un po’ d’orgoglio).

Quindi: te lo saresti mai aspettato, piccola me di diciassette anni, cinque anni fa?
No, non me lo sarei aspettato. Non mi sarei mai aspettata tutte le belle cose che questo blog mi ha portato. Non cambierei nulla, nemmeno gli errori e le ingenuità, perché oggi mi permettono di stare qui, riflettere e festeggiare.
Con voi, ovviamente. È un’occasione per celebrare anche voi che tante avete dato al blog e che date un senso al mio creare e condividere post. Vi mando un abbraccio e una virtuale fetta di torta – che compleanno sarebbe, senza torta? – sperando che abbiate voglia di unirvi e gioire con me.

Compleblog5

Oggi più che mai, vi auguro di fare splendide letture e imbattervi in libri meravigliosi!

Sempre vostra,

Cami

mercoledì 20 agosto 2014

Tre gradi (#11)

Buongiorno, cari lettori e lettrici!

Spero che il vostro Agosto stia procedendo bene, nonostante il tempo matto: io mi sto preparando (anche psicologicamente) per gli ultimi esami. Lo ammetto, sono un po’ nervosa!
Ma evitiamo di parlare di questo, che altrimenti mi viene un poco d’ansia, e passiamo subito a un argomento ben più piacevole: i libri che mi piacerebbe leggere. Ecco a voi, quindi, Tre gradi nuovi di zecca.

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PRIMO GRADO
Il libro che ho scelto è…

Guida agli uccelli dell'Africa orientale - N. Drayson

Guida agli uccelli dell’africa orientale di Nicholas Drayson
2010 – Piemme (A Guide to the Birds of East Africa – 2008 - Houghton Mifflin Harcourt)

Timido, non molto alto, decisamente sovrappeso: difficile notare Mr Malik per le strade di Nairobi, se non, forse, per il buffo riporto accuratamente scolpito. Eppure, sotto quell'aspetto non proprio attraente, si celano un cuore appassionato e un amore segreto. Nemmeno i suoi amici dell'Asadi Club lo sanno, ma Malik è follemente innamorato da ben tre anni. Lei si chiama Rose Mbikwa, è la vedova scozzese di un politico keniota e lavora alla Società ornitologica dell'Africa orientale, per la quale ogni martedì mattina organizza le escursioni di birdwatching. Quelle che Malik ha preso a frequentare su consiglio del cardiologo come antidoto - ironia della sorte allo stress da emozioni forti. Proprio adesso che si è finalmente deciso a invitare Rose al ballo che costituisce il principale evento mondano di Nairobi, si ripresenta in città Harry Khan: ricco playboy, ottimo ballerino e bestia nera di Malik sin dai tempi della scuola. Quel che è peggio, Khan fa capire che Rose è anche nelle sue mire. E così, quando Malik rivela i suoi sentimenti, viene lanciata una scommessa: chi dei due avvisterà più specie di uccelli in una settimana potrà fare da cavaliere a Rose. Spaccone e chiassoso come il catenone d'oro che porta al collo, Khan ricorrerà a safari costosi ed espedienti non troppo corretti per raggiungere il suo obiettivo. Ma anche Malik, seppure perseguitato da sfortune di ogni tipo, ha in serbo molte sorprese e rivelerà, a suo modo, doti da eroe.

Perché è nella Lista dei Desideri? Ogni tanto sento il bisogno di leggere un libro positivo, pieno di buoni sentimenti, del tipo che finisci di leggere con un sorrisone contento sul viso e con un po’ di fiducia in più nell’umanità.  Questo sembra rientrare perfettamente nella categoria e anche per questo mi ricorda un po’ la serie dedicata a Mma Ramotswe di Alexander McCall Smith (oltre che per l’ambientazione africana, che condividono).

SECONDO GRADO
Nicholas Drayson, oltre a essere uno scrittore, è un navigatore: con la sua barca, Summer Breeze, ha solcato anche i mari dell’Inghilterra. Non dubito che sia passato anche davanti alla nota Chesil Beach.

Chesil beach - I. McEwan

Chesil Beach di Ian McEwan
2007 – Einaudi (On Chesil Beach – 2007 – Jonathan Cape)

In Inghilterra, secondo Philip Larkin, "i rapporti sessuali incominciarono nel 1963", "tra la fine del bando a "Lady Chatterley" e il primo LP dei Beatles". La giovane coppia protagonista del nuovo romanzo di lan McEwan patisce invece gli ultimi fuochi di un clima diffuso di repressione sessuale. La prima notte di nozze, e prima esperienza sessuale per entrambi, scocca infatti alla vigilia di quell'"annus mirabilis". Tutto avviene in appena due ore, in un antiquato hotel vicino alla celebre spiaggia di ciottoli di Chesil Beach. I due sposi stanno cenando in camera, ma già pensano a quello che accadrà più tardi. Edward è un ragazzo di provincia laureato in storia, indeciso se continuare la carriera accademica o lavorare nell'azienda del padre della sposa. Finalmente farà l'amore con Florence: è piuttosto nervoso e sa, per sentito dire, che deve cercare di controllarsi per non concludere troppo in fretta. Florence prova una profonda repulsione per il sesso, un misto di opprimente solitudine e vergogna; ma è ben attenta a mantenere le apparenze di un matrimonio felice e perfetto, ansiosa di non deludere Edward. Ma quello che succederà di lì a poco segnerà per sempre il destino di entrambi...

Perché è nella Lista dei Desideri? Innanzitutto perché, come sapete, di Ian McEwan vorrei leggere tutto; in particolare, però, questo titolo mi incuriosisce perché trovo che lo scrittore sia un maestro nel narrare i rapporti di coppia, che siano tra due innamorati o tra due amici fraterni. Dato che in Chesil Beach la storia è quella di due sposini novelli, credo che McEwan saprà darmene un ritratto singolare e meraviglioso, come solo lui sa fare.

TERZO GRADO
Dai libri di McEwan sono stati tratti alcuni film; tra questi, ha ricevuto buone recensioni L’amore fatale (Enduring Love in lingua originale). Tra i vari interpreti che hanno recitato in questa pellicola c’è anche Ben Wishaw, attore che adoro e che sembra gradire i ruoli letterari e le trasposizioni da libro a film in genere: ha preso parte, infatti, anche a Cloud Atlas, tratto dall’omonimo libro di David Mitchell. Indovinate chi ha scritto il prossimo libro?

I mille autunni di jacob.inddI mille autunni di Jacob de Zoet di David Mitchell
2010 – Frassinelli (The Thousand Autumns of Jacob de Zoet – 2010 – Random House)

Dejima, una piccola isola artificiale al largo di Nagasaki, camera di compensazione tra l’Oriente e l’Occidente del 18° secolo, un avamposto commerciale poco noto, diventa il teatro principale dove si svolgono le scene più importanti di questo magnifico romanzo. Un mondo nascosto, dove si agita l’ermetica società pre-industriale del Giappone.
Jacob de Zoet, protagonista principale della storia, è un impiegato di una società commerciale olandese che, per guadagnare quanto gli serve per poter chiedere la mano della sua amata Anna, ottiene il trasferimento sull’isola, rimanendone affascinato e incuriosito.
Dovrà rimanere sull’isola almeno cinque anni e poi potrà tornare, con la sua dote, per sposare la fidanzata. Quando arriva a destinazione, si trova in un mondo nuovo capace di catturare lo sguardo e la fantasia: la piccola isola artificiale è superbamente selvaggia e dolcemente fiorita, ma d’altro canto deve subito scontrarsi con i maneggi dell’amministrazione che lo ha preceduto.
Da funzionario serio e onesto qual è, comincia a lavorare sui libri contabili, affronta trattative commerciali con le autorità locali, conosce le personalità del luogo e in particolare si lega al dottor Marinus, medico e scienziato autoesiliatosi nell’isola. Tra gli allievi della sua scuola di medicina, spicca per talento e vocazione Aibagawa Orito, una giovane levatrice.
L’imbattersi in questa delicata creatura, segnata da una misteriosa cicatrice sul volto, e innamorarsene perdutamente è per de Zoet un tutt’uno. Ma è anche il primo, fatale passo verso l’oscuro destino che lo attende in un’intricata vicenda d’amore e morte, incontri fatali, tradimenti, delitti, amicizie, sullo sfondo di un Oriente dai contorni sfuggenti e inaccessibili.

Perché è nella Lista dei Desideri? Fui catturata dalla copertina durante un giro in libreria: i tetti a pagoda, le barche con le vele tipicamente asiatiche e i colori tenui dell’illustrazione mi hanno incuriosita molto. Inoltre anche il titolo mi è sembrato foriero di una storia interessante: ho subito letto la quarta e ho avuto la conferma che il mio istinto aveva visto giusto. Non posso che sperare che la narrazione sia all’altezza; tuttavia, non dubito che un autore nominato per ben tre volte al Man Booker Prize (di cui una per l’anno corrente) saprà stupirmi.


Anche per oggi è tutto, cari lettori; voi avete letto questi libri? Me ne consigliate qualcuno in particolare?


Passate una buona giornata e, come sempre, fate buone letture!


Cami

giovedì 31 luglio 2014

Top Ten Letterarie (#11)

Buongiorno, cari lettori e care lettrici!

In questi giorni d’estate un po’ indecisi, in cui il sole spunta e scompare di continuo, la voglia di viaggiare si fa sentire. Ogni tanto provo questa necessità di prendere uno zaino e partire, scoprire cose nuove e città che non ho mai visitato; in parte sarà anche per una predisposizione personale, ma credo che la passione per la lettura abbia contribuito a intensificare questo mio tratto. In fondo, non viaggiamo ogni volta che apriamo un nuovo libro?
La Top Ten Letteraria di oggi, dunque, sarà dedicata a quei mondi che ho visitato sfogliando le pagine di certi libri; luoghi incantati, a volte un po’ pericolosi, sempre incredibilmente belli. E per questa volta, lascerò che siano le immagini a parlare, trasportandovi (spero) nei luoghi che ritraggono; cliccateci sopra per ingrandirle ulteriormente e lasciatevi guidare.
Se mi cercherete, per quest’estate, mi troverete lì!

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1. Hogwarts 
(Harry Potter – J.K. Rowling)

HOGWARTScredit to: Hogwarts-girl-fangdarien

2. Terra di Mezzo
(Il Signore degli Anelli – J.R.R. Tolkien)

TERRADIMEZZOcredit to: Stripwalker-craigletourneau-Glacierman54-RobinHalioua

3. Patusan e i mari orientali
(Lord Jim – J. Conrad)

MARI ORIENTALI
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4. Mondo d’Inchiostro
(Cuore d’Inchiostro – C. Funke)

MONDOdiINCHIOSTROcredit to: YorkshireSam-KromerX-KasperGustavsson-alexandrajitariuc-LuizaLazar-Hetman80

5. Londra Sotto
(Nessun dove – N. Gaiman)

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6. La brughiera inglese
(Il giardino segreto – F.H. Burnett)

BRUGHIERAcredit to: Swordtemper-DanUK86-felix01

7. Il Rifugio 
(Il mago dei sogni – C. Webb)

MONDODEISOGNIcredit to: carloscara-zemotion-julie-rc-WiciaQ-lostknightkg-Matthias-Haker

8. Irlanda
(Benny e Babe – E. Colfer)

IRLANDAcredit to: ottomatt-jen-jamieson-fishycole-SSquared-Photography-ryszardgieron-insomniadict

9. Il fiume Tyne e la palude
(Occhi di cielo – D. Almond)

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10. L’universo!
(Guida Galattica per gli autostoppisti – D.N. Adams)

UNIVERSO(scusate, non ho resistito)


E con questo vi saluto e vi auguro di passare delle belle vacanze, in viaggio o immersi in un buon libro – che, come abbiamo visto, non sono attività poi così distanti.

Un abbraccio,


Cami

venerdì 25 luglio 2014

Half bad–Sally Green

Half bad - S. Green

Titolo:Half bad
Autore:Sally Green

Anno:2014

Editore:Rizzoli
Traduzione:Luca Scarlini
ISBN:978-88-17-07276-2

Pagine:390

Trama:Nathan non è un Incanto comune. In un mondo dove Bianchi e Neri si combattono da sempre, essere un Mezzo codice lo rende un bersaglio; braccato, incerto lui stesso della propria vera natura, dovrà combattere per la sua libertà e affrontare sia i demoni interiori che l’autorità magica che lo vuole assoggettare.

Cosa può accadere quando una metà di te condiziona la percezione che gli altri hanno della tua totalità? Quando metà del tuo bagaglio genetico sembra preponderante e schiaccia l’altra, fino ad annichilirla totalmente? Se quest’altra parte avesse avuto spazio, se avesse ricevuto il cosiddetto beneficio del dubbio, quale delle due avrebbe prevalso? Anzi: la lotta tra le due metà avrebbe mai avuto inizio, senza l’ambiente che prima di tutto ha dato avvio allo scontro?
Sono queste le prime domande che Half bad spinge a porsi, mentre seguiamo il nostro protagonista, Nathan, nel percorso di crescita che lo porterà da bambino a giovane adulto. Tematiche scottanti, indubbiamente, e spesso legate a doppio filo alla realtà: perché quanto conti l’educazione rispetto alla natura del singolo, quanto l’una condizioni l’altra e viceversa, non sono certo problematiche che si pongono solo gli Incanti, streghe e stregoni dotati di Doni singolari, divisi tra Bianchi e Neri anche a causa di caratteristiche fisiche che sembrano renderli quasi due razze diverse (e l’autrice non manca di sottintendere un parallelo, a questo proposito, con il razzismo).

Nathan è figlio di un Incanto Bianco e di un Incanto Nero – anzi, l’Incanto Nero per eccellenza, il più crudele al mondo – e, in quanto tale, è segregato e tenuto sotto costante osservazione. La sua natura di Mezzo Incanto lo rende vittima del pregiudizio dei Bianchi puri; la maggior parte di loro sembra aver già deciso che la sua metà Nera prevarrà senz’altro. Il consiglio che guida il mondo magico inglese si mantiene subdolamente neutro, nascondendo dietro la facciata legiferante il preciso desiderio di servirsi di lui e poi distruggerlo.
Proprio per questo Nathan non è un protagonista eroico, almeno non per come viene comunemente inteso; piuttosto, sembra richiamare le parole di un altro mago, per cui il Mezzo Incanto sembra destinato a «grandi cose... Terribili, certo, ma grandi!». Quel che però lo rende davvero interessante è il continuo dubbio che l’autrice sembra voler insinuare (e che si ricollega con le domande che mi e vi ponevo all’inizio): quanto di questa “predestinazione” è dovuta a un’effettiva natura maligna e quanto, invece, è dovuta al vissuto di un ragazzino che, per la maggior parte della sua vita, non ha ricevuto altro che disprezzo, paura e violenza?
Anche a voler prendere per buona la prima ipotesi, penso non si possa negare che un ambiente così porta perlomeno a crescere in modo molto diverso dal normale. Nathan è quasi costretto a fare i conti con sé stesso fin dall’infanzia, riflettendo sulla propria interiorità quando i suoi coetanei pensano tuttalpiù a giocare; si trova a combattere con delle limitazioni che a volte non riesce a superare (un punto a favore, che allontana ulteriormente l’immagine di “protagonista perfetto” che lo stereotipo vorrebbe imporre); impara il valore della libertà, che assume spesso nel corso del libro il ruolo di obiettivo finale, sfumando in un più generale diritto di vivere, sostenuto con tenacia; scopre la violenza e vi risponde con altrettanta forza, conscio che pochissimi si prenderanno la briga di parlare con lui e che la diplomazia serve a poco, quando si pensa a te come se tu non fossi un essere umano. Mi è piaciuto che l’autrice abbia mostrato anche i suoi scatti d’ira, quasi la malvagità cui viene spinto quando è preda di certi istinti, frutto sia della rabbia che del dolore.
Anche la sua ossessione per il padre ha senso in questa cornice; Nathan sa che i fatti non si possono negare, che lui è un Incanto Nero e ha ucciso molte persone, ma sa anche che il governo sbaglia e sevizia anche chi è innocente, come lui; quindi perché suo padre non può essere una vittima, una persona costretta alla violenza dagli altri (di nuovo, come lui)?
Oltretutto, la famiglia che resta a Nathan – la nonna materna e i fratellastri – non sempre riesce a dargli le risposte che cerca e quindi la figura paterna, lontana e sconosciuta ma legata strettamente dal sangue, sembra assumere anche la funzione di portatore di risposte.
In effetti, grazie al fatto che la narrazione viene portata avanti attraverso il punto di vista di Nathan, il personaggio di Marcus (il padre) risulta più sfaccettato del solito villain totalmente oscuro – anzi, non saprei nemmeno se definirlo tale, visto che non è l’antagonista contro cui si combatte nel corso del libro. È violento e molto potente, ma come lettrice trasportata dalla narrazione di Nathan non posso detestarlo (e questo è senz’altro un bene, perché dimostra la pervasività del punto di vista del protagonista). Oltretutto l’aura di mistero che lo circonda lo rende molto intrigante e ammetto di non essere rimasta per nulla delusa dagli sviluppi che la storia gli riserva.

Vi ho accennato che Nathan vive con degli altri parenti; non vi spiegherò approfonditamente i gradi di parentela – è bello scoprirli da sé – ma volevo comunque sottolineare un paio di cose che li riguardano. Innanzitutto, ho apprezzato che almeno loro (tutti, meno una) fossero dalla sua parte: la nonna probabilmente per amore della figlia e per ragionevolezza (un bambino che colpe può avere?), Arran e Deborah perché sono cresciuti insieme a lui e gli vogliono onestamente bene. Jessica, d’altro canto, è un contraltare perfetto e rappresenta un’ottima palestra per Nathan, visto che gli fa capire sin dall’infanzia cosa lo aspetta fuori di casa.
Tuttavia, e questo vale per tutti loro, li ho trovati abbozzati in modo piuttosto sommario. Deborah è piatta e sottile come un foglio di carta, mi sono affezionata ad Arran (di nuovo, grazie al punto di vista di Nathan) che però sembra chiuso nel suo ruolo di angelo della casa, Jessica ha le sue motivazioni ma appare piuttosto monolitica e la nonna, forse per l’età avanzata, appare come un universo totalmente altro rispetto al protagonista, e di lei riusciamo a intravedere solo la forte tempra – fisica e morale – e l’affetto silenzioso che prova nei confronti di tutti i nipoti.
Purtroppo questa sommaria caratterizzazione è una piaga di cui anche gli altri personaggi secondari soffrono: in particolare, quello che dovrebbe essere l’interesse romantico del Nostro è piuttosto scialbo, a mio parere, e non sono ben chiari nemmeno i sentimenti che la muovono. Tra l’altro, è bene notare che lo spazio dato alle romanticherie non è molto – tanto meglio per me, che non amo le sdolcinatezze, ma forse chi ha letto la quarta di copertina sperando nel potere salvifico dell’Ammmòre (perdonatemi questa scivolata di stile, ma troppo spesso è un escamotage utilizzato davvero male) potrebbe rimanere deluso.

Tornando seri, c’è solo un’altra cosa che non mi ha sempre convinta del tutto, ed è lo stile dell’autrice. I primi capitoli sono creati ad arte per stupire il lettore che apre casualmente il libro, e lo stesso si può dire per la costruzione di certi paragrafi, che sfugge alla gabbia di testo solita; io apprezzo chi esce dagli schemi, e in questo caso è stato un tentativo che riesce a provocare una piacevole curiosità, ma appunto di questo si tratta – un tentativo. C’è una potenzialità inespressa dietro che, secondo me, il lettore coglie e questo non può che smorzare la forza di scene che, di loro, potrebbero avere ben altro impatto. La seconda persona viene abbandonata quasi subito (e verrà ripresa con un risultato migliore, ma ancora non eccelso, solo per qualche capitolo a metà del libro) per una più canonica prima persona, che l’autrice maneggia con facilità molto più evidente – d’altro canto, vi ho già scritto più su di come sia rimasta colpita dalla forza del punto di vista di Nathan. È una percezione che si è fatta più intensa nel corso dei capitoli, portandomi da un iniziale dubbio (ammetto di non essere stata una sostenitrice sin da subito) fino a un bel coinvolgimento; in parte credo sia dovuto alle scelte lessicali, sempre senza fronzoli, semplici, dritte al punto, forse a volte un pizzico troppo “controllate”, ma in generale adatte ai ragionamenti del narratore, adatte a descrivere, per contrasto, le sevizie che Nathan deve subire nel corso della sua vita. I capitoli brevi sono la naturale conseguenza di questo stile e aiutano nel costruire la tensione della trama, dando vita a capitoli densi e, soprattutto all’inizio, icastici.

A questo proposito, devo ammettere che sul fronte dello sviluppo della storia non posso dire granché, se non che mi è piaciuto molto: non approfondirò, perché a piacermi sono state proprio le svolte che meno mi aspettavo, quindi mi limiterò a dire che la Green interrompe l’inizio della quest classica in un modo che fa pensare “Ma certo!”, dandosi una botta sulla fronte, come a dire “Era già tutto lì, avrei dovuto fare subito due più due” - e a me piace molto quando succede.
L’azione e le tensioni aumentano fino al finale, che mi è piaciuto tantissimo, benché l’abbia trovato un filo troppo aperto. Di certo fa venir voglia di avere il seguito, Half wild, tra le mani… Sono certa non solo che la trama mi soddisferà nuovamente, ma che la Green avrà continuato la sperimentazione e il miglioramento che daranno quel quid in più che in questo primo volume, forse anche perché è l’opera prima dell’autrice, ogni tanto latita.


Voto:
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                7,5


Frasi e citazioni che mi hanno colpita…

  • Ma anche con tutta quella sofferenza, quel dolore e quelle crudeltà mi dico che forse i miei antenati hanno trovato la felicità, anche se per poco. Mi dico che io ne sarei capace, e che per forza anche loro lo erano. Lo spero. Lo spero. Lo spero. Perché se devo morire in una cella, prima voglio qualcosa in cambio. E penso ad Arran e ad Annalise, al Galles e al correre, e ogni respiro, ogni respiro deve essere importante, e prezioso e deve valerne la pena.

  • La routine non è male.
    Svegliarsi con il cielo e il vento non è male. Svegliarsi nella gabbia in catene è quello che hai. Non ti puoi fare schiacciare dalla gabbia. Le catene sfregano, ma guarire è veloce e facile, e allora che problema c’è? […]
    Quindi la routine è svegliarsi quando il cielo rischiara prima dell’alba. Non ti serve muovere un muscolo, nemmeno aprire gli occhi per sapere che sta facendo chiaro: puoi startene lì sdraiato e accogliere tutto.
    La parte migliore della giornata.

  • Quando sono nella gabbia posso memorizzare il colore del cielo, la forma delle nuvole, la loro velocità e come cambiano, e posso andare lassù, nelle nuvole, nelle forme e nei colori. Posso perfino entrare nei colori a chiazze delle sbarre della gabbia, arrampicarmi nelle crepe sotto la ruggine. Girellare dentro una sbarra.


P.S. se vi sembra di aver già letto questa recensione, probabilmente avete seguito il Torneo Tremaghi, divertente gioco organizzato da Denise (Reading is Believing) e Leda (Dreaming Fantasy). Io partecipavo come Percy Weasley e questa recensione è stata la prova finale. Purtroppo non ho vinto, ma volevo comunque condividere con voi i miei pensieri su questo libro!

lunedì 23 giugno 2014

Chi Cerca… Trova! (#12)

Buongiorno lettori e lettrici!

Torna a farvi compagnia la rubrica che risponde alle domande poste al mare magnum della rete e che, in un modo o nell’altro, giungono a Bibliomania sotto forma di chiavi di ricerca. Per quest’oggi abbiamo domande interessanti, qualche richiesta simpatica e anche una domanda che riesce a far incontrare matematica e letteratura. Spero, come sempre, di aver risposto al meglio.

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1. arcipelago chloe dove viene nominato

640px-Archipiélago_de_Chiloé-blankUn arcipelago Chloe, a quanto ne so, non esiste; tuttavia, esiste l’arcipelago Chiloé, in Cile, che prende il nome dalla sua isola principale. Pare un posto molto caratteristico – date un’occhiata a queste foto! – e le sue chiese sono state nominate Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
Di queste isole parla Charles Darwin nel suo The Voyage of the Beagle, nei capitoli XIII e XIV: se vi interessa leggerlo, potete consultare una copia digitalizzata e scoprire quali furono le sue impressioni.
Non mi stupirei di scoprire che sono state citate anche da altri scrittori che si sono dedicati al Cile – come Luis Sepúlveda – ma non sono riuscita a trovarne traccia per ora e quindi non posso affermarlo con certezza.

2. diana croft moglie di uhlman

Diana Croft era una londinese che Uhlman conobbe durante il suo soggiorno a Tossa del Mar nel 1936; la raggiunse proprio a Londra, dopo svariate vicissitudini, povero in canna e senza parlare una parola d’inglese, ma questo non impedì alla coppia di sposarsi, due mesi dopo - il 4 Novembre 1936 - e questo nonostante il parere fortemente contrario dei genitori di lei. La Croft, infatti, proveniva da una famiglia di ottima estrazione sociale: il padre, Lord Henry Page Croft, Primo barone di Croft, era un politico piuttosto importante del partito conservatore e certamente un uomo che non le mandava a dire (se masticate un po’ di inglese potete leggere per credere).
La loro figlia nasce mentre Uhlman è internato sull’isola di Man, a causa della sua nazionalità straniera, durante la Seconda Guerra Mondiale. Una volta tornato, la loro unione durò, felicemente, per quasi 50 anni.

3. Marc Le Cannu

Marc Le Cannu è uno studioso francese su cui è davvero, davvero difficile trovare informazioni. Caro ricercatore, mi hai fatto faticare! È uno sforzo che ho fatto volentieri, comunque, sia perché scoprire cose nuove mi piace, sia perché Le Cannu è l’autore dell’introduzione della mia edizione de I Miserabili – e, dato che ormai mi conoscete, sapete quel che vuol dire per me.
Tutto quel che sono riuscita a scoprire è che è uno studioso di letteratura (in particolare ha scritto un libro sui romanzi erotici del ‘700 francese) e di storia dell’arte (direi soprattutto moderna, francese e italiana, e in parte contemporanea - da quel che riesco a capire dalla sua bibliografia, almeno).
So per certo che parla italiano, perché su YouTube si trova un video di un suo intervento – lui parla più o meno dal secondo minuto - presso la Fondazione Stelline (nel 1989); per il resto, ahimè, il vuoto. Prima o poi riuscirò a scoprire altro su di lui, promesso!

4. mondo d’inchiostro cornelia funke film

inkheart_xlgSì, da Cuore d’inchiostro hanno tratto un film. Purtroppo non mi ha soddisfatta granché e, per quanto mi riguarda, si salvano solo alcuni degli attori scelti: Paul Bettany come Dita di Polvere è perfetto, Helen Mirren come zia Elinor pure; Brendan Fraser interpreta il suo ruolo con la solita simpatia e Rafi Gavron è un buon Farid, così come Andy Serkis interpreta bene Capricorno (d’altronde, è un ottimo attore) pur essendo davvero diverso da come immaginavo fosse il personaggio.
In breve, mi è sembrato che la storia sia stata banalizzata. Ci sono anche un paio di cose che mi hanno infastidito, ma credo siano idiosincrasie mie e quindi non vi ammorberò qui lamentandomene (anche perché il post si allungherebbe inutilmente).
Comunque, il titolo ufficiale è Inkheart, in italiano ci hanno aggiunto un sottotitolo inutilmente lungo.
Il film non era andato molto bene al botteghino, quindi dubito metteranno in produzione il seguito, Veleno d’inchiostro.

5. leonie swann libri 2014

Che io sappia non ci sono uscite programmate per il 2014, ma potrei sbagliarmi; bisognerebbe chiedere a Bompiani, magari attraverso le loro pagine sui social (FacebookTwitter). Quelli usciti fino a ora sono già stati tradotti e si tratta di Glennkill e de Il lupo Garou.

6. chi sono gli autori di spongebob

L’autore (uno solo!) è Stephen Hillenburg, biologo e disegnatore, cui tutti noi vogliamo tanto, tanto bene.

7. traduzioni famose dr jekyll mr hyde

Ci sono stati diversi traduttori notabili per questo celeberrimo libro: i più noti sono senz’altro Oreste Del Buono, la coppia Fruttero & Lucentini e Attilio Brilli (sua è la traduzione della mia copia). Segnalo per completezza la prima traduzione, del 1928, a cura di Mario Malatesta (con un titolo diverso: L’uomo sdoppiato).
Se siete interessati a un elenco completo, vi consiglio di consultare la pagina dedicata nel Catalogo Vegetti.

8. il piano cartesiano nel : signore degli anelli

All’inizio vi ho scritto di una chiave di ricerca che univa matematica e letteratura; ovviamente, mi riferivo a questa. In tutta onestà, mi ha lasciata piuttosto perplessa. “Cosa mai starà cercando?” mi sono chiesta; non riuscivo proprio a venirne a capo. Ho deciso, quindi, di contattare qualcuno di decisamente più esperto di me in materia tolkeniana, ovvero Angie, la creatrice del blog Il portale segreto.
E la risposta che mi ha dato, dopo che le ho esposto i miei dubbi, è senz’altro la migliore che potesse fornirmi:

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Ringraziamo Alex, lo studente anglofono, per la soluzione meravigliosamente divertente e ringraziamo di nuovo Angie che è stata tanto gentile da aiutarmi. E attenti all’occhio di Sauron!

9. kùndera o kundèra?

Il fantastico sito Come si pronuncia dirime ogni dubbio e ci indirizza verso la prima possibilità (potete ascoltarlo qui). Stesso risultato (sempre meglio avere una conferma da un’ulteriore fonte) ci dà la pagina di Wikipedia, fornendo la versione in caratteri fonetici: [ˈkundɛra].

10. amleto e coleridge

… una storia d’amore.
Battutacce a parte, Coleridge in effetti ha dato una lettura complessivamente favorevole  dell’Amleto in un momento in cui la tradizione critica non l’apprezzava granché: certo, cominciava a essere rivalutato grazie alle riflessioni dei Romantici, assumendo i tratti dell’intellettuale ribelle contro un sistema politico marcio, ma sono sicuramente le riflessioni di Coleridge che l’hanno totalmente riabilitato. La sua lezione del 2 Gennaio 1812 è considerata fondamentale e spesso ristampata nelle edizioni inglesi del dramma.
Tuttavia, non dovete pensare che Amleto qui sia descritto solo in maniera positiva: il suo ritardo nell’agire viene analizzato proprio in questo periodo, sempre da Coleridge, e viene da lui riassunto nella tendenza del Nostro a pensare troppo, senza riuscire a decidersi. Viene anche discussa l’idea che Shakespeare volesse così includere una sorta di messaggio morale, uno stimolo ad agire senza crogiolarsi troppo nel pensiero, ma in tutta onestà non concordo granché con questa interpretazione.
Se volete saperne di più, comunque, si trova in commercio L’illusione drammatica . Lezioni su Shakespeare e altri testi sempre di Coleridge, a cura di Gabriele De Luca, che sembra molto promettente.

11. il perchè del titolo addio alle armi

A Farewell to Arms, titolo originale di Addio alle armi, è un verso di un sonetto di George Peele, scritto nel 1590, intitolato Polyhymnia. Hemingway aveva considerato altri titoli, tutti tratti da altre opere poetiche.
L’ho sempre trovato un titolo meraviglioso e un po’ mi ha sorpresa scoprire che, in effetti, è un prestito.

12. libri citati in la bambina che salvava i libri

Nel libro di Markus Zusak si citano molti titoli e quello che li rende piuttosto particolari è il fatto di essere, tutti, degli pseudobiblia: per stilare l’elenco mi sono affidata alla pagina creata sul blog sono solo libri (purtroppo non aggiornato da più di un anno). Tra l’altro, ho notato che tutti sono stati segnalati dall’infaticabile Phoebes, quindi colgo l’occasione per ringraziarla.

  • Colui che porta i sogni, autore sconosciuto
  • L'ultimo sconosciuto, autore sconosciuto
  • L'uomo che sovrasta, Max Vandenburg
  • La ladra di libri, Liesel Meminger
  • La scuotitrice di parole, Max Vandenburg
  • Manuale del necroforo. Guida in dodici lezioni per il perfetto necroforo. Pubblicato a cura dall’Associazione Cimiteriale Bavarese, autore sconosciuto
  • Un'alzata di spalle, autore sconosciuto

13. edizioni particolari del giovane holden salinger

Visto che il titolo nella chiave è in italiano, mi sono concentrata sulle edizioni nostrane – anche perché, a voler vedere quelle anglofone, rischieremmo di passare un mese solo su questa ricerca, vista la popolarità del libro.
Volendo evitare la prima, vera edizione – dal titolo Vita di un uomo, di pressoché nullo successo, per la traduzione di Jacopo Darca – la prima edizione einaudiana de Il giovane Holden ha la sua importanza non solo per il primato cronologico, ma anche per il contrasto nato tra l’autore (che non voleva immagini in copertina) e l’Einaudi (che invece decise altrimenti); una versione successiva presenta ancora un rettangolo azzurro, suppongo altrettanto sgradito all’autore; si passa quindi alla classica col rettangolo bianco, quindi alla copertina vuota ormai celeberrima; ma in tutte queste vesti è bene notare che il contenuto, invece, rimane inalterato. Questo non vale, al contrario, per l’edizione più recente, che abbandona la storica traduzione di Adriana Motti per affidarsi a quella di Matteo Colombo.

Il giovane Holden (2) - J.D. Salinger

Il giovane Holden (3) - J.D. Salinger

Il giovane Holden - J. D. Salinger

Il giovane Holden (4) - J.D. Salinger

14. last battle of icemark italiano

Caro ricercatore, tocchi un punto dolente. Temo proprio che dovremo abbandonare ogni speranza di vedere il terzo libro delle Cronache di Icemark in italiano; il secondo titolo da noi è uscito nel 2006, il terzo è stato pubblicato in lingua originale nel 2008 e visto che sono passati già sei anni dubito che la Fabbri riprenderà in mano questa serie. Un vero peccato, da piccola ho adorato i primi due libri della serie.

15. hai finito con i tuoi esami

AH! Ah ah! Ah. Ah.
No. Non finiranno mai. Mai.
Scusate, la sessione d’esami mi rende un po’ nervosa.


E con questo vi saluto; spero che stiate passando questo Giugno a crogiolarvi sotto il sole estivo (ogni riferimento al mio incarnato da mozzarella è puramente casuale).

Un abbraccio,

Cami