domenica 18 settembre 2011

Human Traces–Sebastian Faulks

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 Titolo:Human Traces
Autore:Sebastian Faulks

Anno:2005

Editore:Vintage Books
ISBN:
978-0-099-45826-5

Pagine:793

Trama:Thomas Midwinter e Jacques Rebière sono due ragazzi dalle origini diversissime ma uniti dal caso grazie ad un interesse comune: la psiche umana. Attraverso gli anni e gli avvenimenti, studieranno ciò che più di tutto li appassiona: ciò che ci rende umani.

Questo romanzo, lo ammetto, mi mette in difficoltà: se, da una parte, mi è piaciuto molto, dall’altra ho riscontrato diversi difetti che non mi hanno permesso di apprezzarlo del tutto.

La storia, sin dalla trama, mi aveva attirata subito e mi aveva spinto a comprare il libro, mentre vagavo nell’aeroporto di Manchester, aspettando il mio volo: la psichiatria, i primi passi della neurologia e tutto ciò che, in sintesi, riguarda lo studio della mente umana, sono argomenti di incredibile interesse per me.
Lo sono anche, evidentemente, per l’autore, che nel parlare dei passi avanti fatti da queste discipline inserisce alcuni dei passaggi più interessanti del libro; tuttavia, è proprio questo amore preponderante per la materia di studio che, in parte, ha affossato un poco il romanzo. Infatti, per quanto piuttosto ben delineati, i personaggi sembrano “succubi” della materia, e non in modo positivo: ovvero, questa “dipendenza” non porta ad un loro approfondimento, ma solo ad un approfondimento della materia stessa. Mi spiego meglio: per quanto uno sviluppo caratteriale dei personaggi ci sia, visto che il romanzo li segue dall’infanzia alla vecchiaia, è una crescita “bidimensionale”, che non porta ad affezionarsi in modo particolare a loro e che, in sintesi, serve all’autore più per dare sostegno alle teorie sulla psichiatria e sulla neurologia da lui narrate, piuttosto che fungere da “impalcatura” per l’imbastimento di personaggi a tutto tondo.

Thomas e Jacques, infatti, sono personaggi tratteggiati, ma che sembrano non riuscire a raggiungere totalmente il lettore; e tutti coloro che li circondano, di conseguenza, risultano anche più difficili da cogliere. Non che non ci siano le basi – come ho detto, non sono totalmente piatti – semplicemente, non fanno “il salto di qualità”. Un chiaro esempio di questo è Sonia, sorella di Thomas, che riesce a spiccare negli ultimi capitoli del romanzo ma, per il resto, sembra sempre un po’ troppo “scialba”; o l’Abbé Henri, che avrebbe potuto essere una grande figura di mentore.
Gli unici punti in cui ho trovato personaggi completi e tridimensionali sono nelle prime pagine dedicate a Thomas, legate alla sua infanzia, e nelle ultime, legate alla sua senilità (che mi hanno colpita molto, davvero); poi, alcune pagine riguardanti i primi passi nell’età adulta di Jacques (ad esempio, gli studi alla Salpêtrière – famoso ospedale di Parigi) e le ultime pagine del libro, legate a Sonia Midwinter. Non ho invece apprezzato lo sviluppo di Jacques da circa pagina 600 in poi – io l’ho interpretata come crisi di mezz’età più che come lotta contro il dolore, quindi forse è per questo che non ho apprezzato moltissimo la svolta. Anche l’entrata in scena di Kitty, paziente di Jacques, mi è sembrata parecchio forzata.
Inoltre, il rapporto tra Jacques e Thomas è sondato in maniera non del tutto soddisfacente – certo, non è sempre idilliaco, ha alti e bassi, cresce e si sviluppa seguendo il loro percorso psicologico e lavorativo, eppure… Vi dirò la verità, non so spiegare come mai la descrizione di questa amicizia mi abbia lasciata così poco convinta. Forse perché, in un punto particolare del libro (che non descriverò per non rovinare la lettura altrui) ho trovato un cambiamento repentino troppo poco credibile.

Altra cosa che non mi ha fatto impazzire sono i cambi di scenario. Come si evince dalla quarta di copertina, i nostri viaggeranno in diversi luoghi – tra cui l’Africa e la California. Ebbene, scenari così intriganti e perfetti per stuzzicare la curiosità del lettore sono trattati un po’ banalmente. Della traversata africana leggiamo molte cose, ma non “vediamo” nulla; almeno, io non sono riuscita a “vedere” la Rift Valley, né la savana. Stessa solfa per quella californiana. Invece, la descrizione della campagna inglese, della Parigi dei tempi (o meglio, dei sanatori della città) e dei monti tedesco-austriaci mi è piaciuta – mi è parsa più sentita e sono riuscita, appunto, a “vedere” ciò che veniva descritto.

Tuttavia, c’è da dire che queste mancanze si notano solo quando si pensa al libro a posteriori: durante la lettura, infatti, lo stile di Faulks assorbe quasi totalmente l’attenzione e porta chi legge, con grande pacatezza, nei meandri degli studi psichiatrici – argomento non facile, come si può immaginare. In questo va il mio plauso, quindi, all’autore, che in questo senso (contrariamente a quanto ho scritto prima, riguardo ai paesaggi) mostra grandi capacità descrittive, bilanciando informazioni più storico-tecniche e considerazioni più attinenti allo svolgersi della trama; eppure, non basta per risollevare del tutto il romanzo, anche perché in due occasioni viene lasciato troppo spazio al discorso scientifico-tecnico che, per quanto interessante, risulta alla lunga pesantuccio (soprattutto quando viene posto sotto forma di discorso diretto, anzi, di vero e proprio monologo).
Ma tornando alle cose che mi sono piaciute, devo dire che ho adorato il capitolo scritto secondo il punto di vista di Olivier (il fratello di Jacques), anche se all’inizio mi ha mandato davvero in confusione, e ho apprezzato anche la capacità dell’autore di descrivere il dolore, la sofferenza dovuta alla perdita, sia di persone care, sia della fiducia in quello che ci attende. Sono parti toccanti che, come ho già detto, testimoniano la bravura stilistica di Faulks, che si destreggia tra periodo piuttosto lunghi (come potrete notare dalle citazioni in fondo) con una grazia ammirevole.

Ciò che questo libro lascia, sostanzialmente, è un interessantissimo approfondimento sulla psichiatria e sulla neurologia, una montagna di concetti su cui riflettere molto a lungo perché legati a dubbi che, sul finire, legano lettore e protagonisti e appartengono all’umanità intera; ma il tutto si protrae troppo, tra l’altro portando in scena troppi personaggi (qui si che sarebbe valso il detto “meglio pochi ma buoni”).

Se questa recensione vi è sembrata confusa è perché, mannaggia, lo sono anche io; avevo molte aspettative, lo ammetto, e ora non so bene cosa mi rimane, dentro, di questo libro. Ho riflettuto davvero a lungo sul voto da assegnargli, perché oscillo continuamente tra le due e le tre stelline, con un voto che in decimali cambia solo di mezzo punto. Alla fine, con la promessa di leggere altro di Faulks – per gustare ancora il suo stile, per vedere se i difetti qui notati sono un’eccezione o la regola – mi ritrovo ad assegnare solo due stelline, nella speranza che l’autore sappia stupirmi piacevolmente in futuro!


Voto:
stellinestelline
           7

 

Frasi e citazioni che mi hanno colpita…

  • An “impression”, on wax or metal, was a draughtsmanship from which accurate images, unlimited in number, could be taken. His mother was something much vaguer, beyond even the abstract grasp of his memory, yet still present, still an entity in his mind, a glimpse of a life withheld.
  • “I’ve always enjoyed stories,” said Jacques.
    “And I have always enjoyed telling them,” said Sonia, “Though only to children.”
    ”Do you mean that when children grow older they no longer believe in such things’” said Jacques.
    ”No, that’s not what I meant. But I think it becomes harder for the person who is telling the story to have faith in it herself.”
    ”But we must continue to believe,” said Jacques. “Even in the most unlikely of stories. Without that hope, without te willingness to hope, then what are we?  […] “What I mean,” said Jacques, “is that when you’re young you may have a great dream or ambition, which appears to you like a story – the story of your own future. When you grow older you understand that it is not just difficult to achieve, but that it is full of risks and pain that you knew nothing of when you were a child.”
    ”But you must still believe in it?”
    ”I know that I do. I always shall. […]”
  • “My God, they suffer. I think they suffer for all of us. It is almost as though they bear the burden of our sins. It is scarcely too much to say that they pay the price for the rest of us to be human.”
  • Franz smiled. “It is an adventure.”
    ”Yes,” said Thomas. “One must always see it in that way. Sometimes I feel such a fool. How can I possibly know these things which are of their natur unknowable? What mad arrogance keeps me hitting my skull against the wall? These are misteries which no man can know. But there is something of Don Quixote in me, I suppose. Where I see a windmill, I will take my lance and saffle up. I dread growing older because one day I will think that I can no longer be bothered.”
  • “I am suffering from the limits of my mind,” he said. “There is a simple enough problem that I have set out to solve. How our minds work. How sickness enters in. Why the limits of what we can understand seem so narrow. As humans, we have gift of self-awareness, but it seems to lead us to no explanation. Of what use is consciousness if all that one is conscious of is ignorance?”
  • “So the Bible is not so sad in the end?”
    ”Yes, it is the saddest book in the world. We are asked to believe that God has played an infantile trick on us: he has made himself unobservable, as an eternal test of ‘faith’. What I read, though, is the story of a species cursed by gifts and delusions that it cannot understand. I read of exile, abandonment and the terrible grief of beings who have lost something real – not of people being put to a childish test, but of those who have lost their guide and parent, friend and only governing instructor and are left to wander in the silent darkness for all eternity. Imagine. And that is why all religion is about absence. Because once, the gods were there. And that is why all poetru and music strike us with this awful longing for what once was ours – because it begins in regions of the brain where once the gods made themselves heard.”

Buone letture a tutti!
Cami

P.S. domani è il compleanno del blog (compie già due anni, non riesco a crederci) e sono in serbo un paio di sorprese che spero vi piaceranno!

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