Autore: Máirtín Ó Cadhain
Anno: 1949
Editore: Lindau
Traduzione: Luisa Anzolin, Laura Macedonio, Vincenzo Perna e Thais Siciliano
ISBN: 978-88-6708-677-1
Pagine: 383
Trama: Connemara, Irlanda, verso la fine della Seconda guerra mondiale. Tutto sembra calmo nel cimitero di un paesino sulla costa irlandese. Sembra... perché in realtà dalle tombe si levano voci, racconti, storie, recriminazioni, battute, canzoni, amori, debiti. Dialoghi tra i trapassati che raccontano le vite, i rapporti di un paese, e di riflesso dell'intera Irlanda.
Tempo: l'eternità. Luogo: il cimitero. Quando un libro comincia così, e si prospetta un dialogo tra le persone che abitano quel tempo e quel luogo, è difficile che non scatti in me l'interesse e la curiosità di leggerlo. D'altronde il trapasso rimane ancora il più grande mistero a cui tutti ci troveremo di fronte. E quando un autore prende questo mistero per usarlo come artificio narrativo porta sempre a riflettere - se è bravo, ça va sans dire - su tutto quello che precede il momento fatidico. La vita, insomma.
Parole nella polvere rientra senza alcun dubbio in questo novero, e si merita senz'altro il confronto con L'antologia di Spoon River, da cui differisce in tutto, tranne che nell'uso degli abitanti del cimitero come parlanti e nella scrittura meravigliosa.
La protagonista putativa è Caitriona Paidin, la cui sepoltura apre le orecchie a noi lettori e ci permette di entrare nei dialoghi del cimitero. Caitriona è decisa, risentita, indignata, forte, cocciuta. Ha una buona parola per tutti, dal giudizio tagliente all'offesa pesante, e conserva le invettive migliori per sua sorella Nell, ancora in vita, e tra le tombe racconta la sua storia, a volte infiorettata e a volte dritta come un fuso, e rischia di scoppiare, come dice lei stessa, ogni due per tre. Attorno a lei, oltre ai parenti già mancati e a quelli ancora in vita che partecipano alla narrazione nelle storie e nel ricordo, c'è un insieme variegato di abitanti del villaggio e di persone che, per buona o cattiva sorte, si sono trovati a dare l'ultimo respiro proprio in quel paesino del Connemara. Ognuno ha il proprio momento per brillare, ma si tratta soprattutto di un contrappunto a Caitriona, un ensemble che mormora continuamente nel sottofondo, come un coro greco che si è stufato di aspettare solo il momento delle proprio battute. E come ogni coro popolare, spesso si basa su ripetizioni, reiterazioni e riprese di concetti declinati secondo l'argomento del momento, in una resa del canto arcaico - spesso anche concretamente presente, con le canzoni irlandesi e quelle inventate sul momento - che rendono molto vero il sentimento paesano, rurale che si percepisce tra le pagine. Anche chi vorrebbe elevarsi e differenziarsi dalla plebe - chi ha pagato di più il proprio lotto, chi ha deciso di acculturarsi proprio nella tomba - rientra in questa sinfonia, che lo voglia o no, al massimo differenziandosi per tono e melodia.
Così conosciamo Caitriona, appunto, e poi Nora, e il Maestro, che sicuramente sono tra i parlanti maggiori; e poi tanti altri di cui sappiamo il nome, e altri che ci rimarranno ignoti; un francese che sta imparando l'irlandese; persone che si aspettavano la morte e altri che si ritrovano nella fossa tra capo e collo. La confusione comunque, all'arrivo nel campo santo, regna sovrana (e non aiuta che spesso tra i vivi si sbagli fossa, e un morto finisca sull'altro): questo crea una situazione grazie a cui l'autore riesce a giocare nuovamente con la ripetitività - la scena dell'arrivo è spesso simile - usandola per creare aspettative nuove (chi è? Com'è morto? Che notizie porta da sopra?), creando un'aspettativa per cui anche noi, come chi già abita il cimitero, vorremmo subito subissare di domande il nuovo giunto. E per ogni nuovo arrivo nascono poi nuove situazioni, rivelazioni, recriminazioni, per cui chi si aspettava di vivere la quiete della tomba scopre ben presto che sopra o sotto fa poca differenza.
Ogni nuovo personaggio, poi, permette l'inserimento di nuove tematiche, a seconda di quello che più gli era caro; e così l'autore può parlare degli argomento più vari, descrivere situazioni diverse, da una semifinale sportiva alle elezioni nel cimitero, dall'allevamento del bestiame ai cambiamenti della modernità come il cinema, le automobili, le strade rinnovate, fino alla scrittura, che ovviamente ha un posto d'onore, anche grazie a un'aspirante che grazia il cimitero dei suoi componimenti.
Tra il serio e il faceto, si riesce così ad avere un'idea di quello che volesse dire per l'autore scrivere, e si ha anche un'ulteriore conferma della sua ironia, in grado di giocare con le critiche ricevute. Un piccolo dettaglio che scopriamo grazie alle note al testo, poche ma ben pensate e utili per entrare nello spirito dell'Irlanda dell'epoca; così come l'introduzione di Alan Titley, che ho trovato molto interessante, e il lavoro di traduzione e resa dei quattro traduttori, che scorre liscio e piacevole, tanto che risulta difficile pensare al fatto che è un lavoro a otto mani partendo da varie rese in inglese moderno.
Ma d'altronde, per rendere un romanzo così fortemente dialogico, forse era impossibile non lavorare con più di una voce. Anche Titley, nell'introduzione, scrive: "Máirtín Ó Cadhain era convinto che il dialogo fosse il mezzo migliore per descrivere cosa accade nella mente delle persone"; e la struttura, in cui a parte gli interludi ci sono solo dialoghi, spezzettati, interrotti, ripresi, lo conferma, in una resa simile a un flusso di coscienza più ordinato (insomma, robaccia joyciana, come scrive da sé nel libro, riprendendo una critica sentita su un autobus - il libro era pubblicato a puntate su un giornale - l'esempio più brillante dell'ironia di cui vi dicevo poco più su).
Tra il serio e il faceto, si riesce così ad avere un'idea di quello che volesse dire per l'autore scrivere, e si ha anche un'ulteriore conferma della sua ironia, in grado di giocare con le critiche ricevute. Un piccolo dettaglio che scopriamo grazie alle note al testo, poche ma ben pensate e utili per entrare nello spirito dell'Irlanda dell'epoca; così come l'introduzione di Alan Titley, che ho trovato molto interessante, e il lavoro di traduzione e resa dei quattro traduttori, che scorre liscio e piacevole, tanto che risulta difficile pensare al fatto che è un lavoro a otto mani partendo da varie rese in inglese moderno.
Ma d'altronde, per rendere un romanzo così fortemente dialogico, forse era impossibile non lavorare con più di una voce. Anche Titley, nell'introduzione, scrive: "Máirtín Ó Cadhain era convinto che il dialogo fosse il mezzo migliore per descrivere cosa accade nella mente delle persone"; e la struttura, in cui a parte gli interludi ci sono solo dialoghi, spezzettati, interrotti, ripresi, lo conferma, in una resa simile a un flusso di coscienza più ordinato (insomma, robaccia joyciana, come scrive da sé nel libro, riprendendo una critica sentita su un autobus - il libro era pubblicato a puntate su un giornale - l'esempio più brillante dell'ironia di cui vi dicevo poco più su).
Non guasta poi che, avendo a disposizione così tante voci, Ó Cadhain abbia modo di giocare con toni e registri diversissimi tra loro, che vanno a comporre - avrete capito ormai che la metafora di questo libro, per me, è la musica - una sinfonia di toni molto vivaci, dall'eloquio distinto, alla parlata popolare, alla volgarità gretta e all'affettazione di chi vorrebbe distinguersi. E lo fa con una velocità notevole, saltando da un'aura di pathos a un ghigno sorpreso e divertito subito dopo, a volte nemmeno da una frase all'altra: l'inizio degli interludi, fatti dalla cosiddetta Tromba del cimitero, sono sempre uguali, eppure ogni volta quella frase assume un senso diverso, epico e titanico, oppure comico e ridicolo, speranzoso e titubante, in una litania che assume il senso di chi l'ascolta. Perché la Tromba del cimitero deve risuonare. Ma chi la sente, poi?
Voto:
8,5Voto:
Frasi e citazioni che mi hanno colpita...
- Cóilí, non dimenticare che la fine deve lasciarti l’amaro in bocca, il gusto della sbornia celestiale, il desiderio di rubare il fuoco agli dei, la brama di un altro morso al frutto proibito…
- Che Dio ci aiuti ora e sempre! Laggiù la morte non sarebbe morte per me: perché la terra lì è quella soffice e tiepida delle pianure; terra solida che sa essere tenera con la forza della sua forza.
- … Anche noi, i morti da mezza ghinea, abbiamo un candidato per queste elezioni. Come gli altri due gruppi – i morti da una sterlina e quelli da quindici scellini – non abbiamo niente da offrire ai compagni defunti. Ma prendiamo parte alle elezioni del camposanto perché noi, il Partito dei Mezza Ghinea, seguiamo una linea politica. Se un’elezione porta benefici alla comunità sulla terra, deve portarli anche qui sotto. Le elezioni sono l’essenza della democrazia. Noi del camposanto siamo i veri democratici.
- Quante idiozie si dicono nel mondo di sopra: «Ora è tornata a casa. Adesso ha trovato pace e tranquillità, e nella terra del cimitero perderà ogni ricordo del mondo»… In pace! Sì, in pace!…
- - Chi altro farà parte del Rotary, Norog?
- Non ne sono ancora del tutto certa. Intanto tu. Il Maestro. Peadar del pub. Siuan la bottegaia...
- Il poeta...
- Che il diavolo lo trafigga, quel pivello strafottente...
- ...Ma non hai letto Stelle d'oro, Nora.
- E 'sti cavoli, vecchiaccio! Non ti accetteremo. Sul serio! Sei decadente!...
- Brid Terry dovrebbe essere ammessa. Una volta è andata al cinematografo a Brightcity...
- Fidati, c'ero anch'io, insieme al ragazzo quella volta che abbiamo comprato il puledro...
- Fermi tutti. Io sono uno scrittore...
- Non c'è posto per te. Altrimenti il cimitero si sfascerebbe. Hai insultato Columkille.
- ... è inutile che me lo leggi. Tanto non ascolto il tuo Il sole tramonta. Sul serio! Non... non serve insistere: non lo voglio sentire. Sono una persona di ampie vedute, ma comunque bisogna mantenere un certo decoro... Sono una donna... No. Sul serio!... Non puoi farne parte. Il tuo stile è joyciano. [...] - Per la superficie del mondo si prepara la nuova veste di primavera. I piccoli e delicati steli di grano tardivo e il devole sorriso verde che sta spuntando su tutta la terra brullo sono il filo per imbastire questa veste. I raggi di sole - come oro fino sulle spalline delle nuvole - sono gli orli. I bottoni sono i mazzi di prumule fra le braccia accoglienti degli arbusti, nelle rientranze di ogni recinto e nell'ombra di ogni spuntone di roccia. La fodera è il canto d'amore dell'allodola, che giunge al contadino dalla volta del firmamento attraverso la leggera foschia di aprile, e il boschetto che risuona del canto di corteggiamento dei merlicome una dolce arpa. [...] Ma i fili che il sarto introduce nella cruna del suo ago tracciano ora un arcobaleno pallido. Le forbici della tempesta recidono i bottoni. la falce affilata distrugge il tessuto. L'orlo dorato si sfilaccia nel campo dove il grano china la testa... [...] Perché la primavera e l'estate sono scivolate via furtive. Sono state stipate dallo scoiattolo nella tana sotto l'albero. Sono scomparse sulle ale delle rondini e del sole...
Sono la Tromba del cimitero. Che risuoni la mia voce! Deve risuonare...
Questa recensione fa parte dei post del Book Bloggers Blabbering Indie Café - il progetto #BBB che vi accompagnerà durante tutto il 2018.L'Indie BBB Café è, come dice il nome stesso, un caffè letterario gestito da noi Book Blogger Blabbers, e durante l'anno cercheremo di presentarvi al meglio diverse case editrici indipendenti italiane.Ogni mese sarà dedicato a una casa editrice differente, che vi racconteremo attraverso interviste e consigli di lettura. Aprile è dedicato a Lindau!