Miei cari lettori, mie care lettrici,
comincia novembre e con lui il mio turno di presentarvi, nell’ambito del Book Bloggers Blabbering Indie Cafè, la casa editrice - piccola, indipendente e molto tenace - su cui ci concentreremo questo mese. Mi fa particolarmente piacere parlarvene perché è un editore giovanissimo ma dai piani molto chiari e definiti: sto parlando, l’avrete capito già dal titolo, di Black Coffee.
Nata prima come collana di Clichy, è partita l’anno scorso sulle proprie gambe grazie all’impegno di Leonardo Taiuti e Sara Reggiani, traduttori.
La curiosità verso questa nuova impresa, in questi primi mesi di vita, è stato moltissimo: tant’è che, invece di introdurli con la solita intervista à la BBB, abbiamo deciso di unire risposte e commenti di precedenti chiacchierate in un dialogo ideale che presenti al meglio la casa editrice, insieme alle schede dei primi quattro romanzi editi per i loro tipi (tutti e quattro di autrici femminili – un dettaglio non scontato, e credo che un esordio con quattro autrici non si vedesse dai tempi delle edizioni La Tartaruga).
Ma ora mi fermo e lascio che parlino direttamente gli editori. Ci tengo, a tal proposito, a ringraziare tantissimo (in ordine alfabetico) Fabrizia de Il mondo urla dietro la porta, Maria di Scratchbook e Rossella di Retablo di parole che mi hanno permesso di citare le loro belle interviste.
BLACK COFFEE è un progetto editoriale dedicato alla letteratura nordamericana contemporanea. Ospita autori esordienti, voci fuori dal coro e opere inedite o ingiustamente dimenticate con particolare attenzione alle realtà indipendenti più coraggiose, alle voci femminili e alla forma del racconto.
Il corpo che vuoi - Alexandra Kleeman
Traduzione di Sara Reggiani
È vero che dentro siamo più o meno tutti uguali? Non psicologicamente, intendo. Parlo degli organi vitali, lo stomaco, il cuore, i polmoni, il fegato, della loro posizione e del loro funzionamento, del fatto che un chirurgo mentre effettua un’incisione non pensa al mio corpo in particolare, ma a un corpo generico, riprodotto in sezione su una pagina qualunque di un testo scolastico.
Una ragazza, nota solo come A, vive in un’anonima città americana insieme alla coinquilina B e al ragazzo C. Si nutre quasi esclusivamente di ghiaccioli e arance, trascorre un assurdo quantitativo di tempo davanti alla televisione, spesso ipnotizzata dalla pubblicità o dal reality show che C ama tanto, e plasma il proprio corpo su un modello di bellezza che esiste soltanto sullo schermo. Col passare del tempo A sviluppa un’ossessione per Michael, personaggio televisivo diventato celebre per aver esaurito le scorte di carne di vitello in una filiale del Wally’s Supermarket. Nel frattempo B tenta disperatamente di fare di se stessa una copia di A, appropriandosi delle sue cose e delle sue abitudini, mentre A, a sua volta insoddisfatta, cerca di dare un significato alla propria vita al di là della dipendenza dal ragazzo. Si rilassa solo spiando la famiglia dall’altra parte della strada, che tuttavia un giorno scompare misteriosamente. L’ultima cosa che A vede è padre, madre e figlia camuffati da fantasmi salire in macchina e andarsene, lasciando sulla porta del garage una sinistra scritta. Romanzo d’esordio sagace, divertente e a tratti inquietante, che richiama alla mente L’incanto del lotto 49 e i racconti di George Saunders, Il corpo che vuoi è una sorta di giallo raccontato dal punto di vista della persona scomparsa, una storia dell’orrore tutta americana che intreccia sesso e amicizia, fame e appetito, fede e alimentazione, vita vera e reality show, ma soprattutto uno sguardo originale sul moderno concetto di femminilità.
Il nome che avete dato al progetto è molto evocativo. Come il logo: una tazza fumante, un black coffee. Perché vi rappresenta? [Scratchbook]
Abbiamo scelto questo nome perché lettura e caffè sono sempre andati a braccetto, soprattutto negli Stati Uniti. In Italia magari beviamo più tè mentre leggiamo (l’espresso dura poco), ma il punto era proprio evocare una tipica situazione della quotidianità americana, una poltrona, una lampada, un tavolino con una tazza di caffè fumante sopra e una persona immersa nella lettura. Il nostro caffè non a caso è nero, senza aggiunta di zucchero o latte… è amaro e pungente, come – speriamo – i libri che pubblicheremo. E poi il caffè sveglia, non ti fa stare fermo.
Le vostre esperienze in Giunti poi a Edizioni Clichy, come avete raccontato, sono state utili a maturare le conoscenze necessarie per intraprendere un percorso indipendente. Ma come cambia la prospettiva da traduttori a editori, soprattutto spostandosi da una grande realtà a una più piccola? [Il mondo urla dietro la porta]
Il fatto di aver potuto osservare da vicino il funzionamento di due case editrici, una grande e l’altra più piccola, ci è stato di grande aiuto. Nel corso del tempo abbiamo ricoperto molti ruoli del mondo editoriale (redattore, traduttore, editor) e ci è servito per capire quali siano le esigenze e l’importanza di ognuno. Abbiamo imparato a dare valore a ogni dettaglio, ogni passo che porta alla pubblicazione di un libro e ora che abbiamo deciso di diventare editori possiamo contare su un consistente bagaglio di esperienza. Scendere in prima linea, però, è molto rischioso, richiede capacità che dobbiamo ancora affinare e un’attenzione ad aspetti che da traduttori non ci eravamo mai trovati ad affrontare (promozione, vendita, gestione delle risorse). Ciò che non ci manca è una visione chiara del progetto e di cosa vogliamo comunicare, il resto lo impareremo strada facendo, cadendo e rialzandoci. Prima traducevamo e basta, avevamo solo quella responsabilità perché le decisioni le prendevano altri. Ora invece abbiamo la responsabilità di creare un discorso coerente, diffonderlo, stabilire un contatto col lettore e far sì che si fidi di noi. A volte hai paura di non essere in grado di tenere insieme tutti i fili, di tralasciare qualcosa, ma poi pensi che ce la stai mettendo tutta e che qualcuno da qualche parte riconoscerà il valore dei tuoi sforzi. Era il nostro sogno poter scegliere, tradurre e pubblicare gli autori che volevamo e alla fine della giornata la paura e il dubbio di aver fatto la cosa giusta lasciano sempre il posto alla soddisfazione e all’entusiasmo. Creare una casa editrice in fondo è come costruire un ponte tra due mondi e questo, da traduttori, sappiamo farlo.
Il fatto di aver potuto osservare da vicino il funzionamento di due case editrici, una grande e l’altra più piccola, ci è stato di grande aiuto. Nel corso del tempo abbiamo ricoperto molti ruoli del mondo editoriale (redattore, traduttore, editor) e ci è servito per capire quali siano le esigenze e l’importanza di ognuno. Abbiamo imparato a dare valore a ogni dettaglio, ogni passo che porta alla pubblicazione di un libro e ora che abbiamo deciso di diventare editori possiamo contare su un consistente bagaglio di esperienza. Scendere in prima linea, però, è molto rischioso, richiede capacità che dobbiamo ancora affinare e un’attenzione ad aspetti che da traduttori non ci eravamo mai trovati ad affrontare (promozione, vendita, gestione delle risorse). Ciò che non ci manca è una visione chiara del progetto e di cosa vogliamo comunicare, il resto lo impareremo strada facendo, cadendo e rialzandoci. Prima traducevamo e basta, avevamo solo quella responsabilità perché le decisioni le prendevano altri. Ora invece abbiamo la responsabilità di creare un discorso coerente, diffonderlo, stabilire un contatto col lettore e far sì che si fidi di noi. A volte hai paura di non essere in grado di tenere insieme tutti i fili, di tralasciare qualcosa, ma poi pensi che ce la stai mettendo tutta e che qualcuno da qualche parte riconoscerà il valore dei tuoi sforzi. Era il nostro sogno poter scegliere, tradurre e pubblicare gli autori che volevamo e alla fine della giornata la paura e il dubbio di aver fatto la cosa giusta lasciano sempre il posto alla soddisfazione e all’entusiasmo. Creare una casa editrice in fondo è come costruire un ponte tra due mondi e questo, da traduttori, sappiamo farlo.
Lions - Bonnie Nadzam
Traduzione di Leonardo Taiuti
Se avete mai amato davvero qualcuno, saprete che c’è un fantasma in ogni cosa. Visto la prima volta, lo vedete ovunque.
Bonnie Nadzam, autrice del controverso romanzo Lamb, torna con l’inquietante e spietato ritratto di una comunità rurale sull’orlo del collasso e dei suoi abitanti, combattuti fra il desiderio di inseguire i propri sogni e un irragionevole bisogno di restare dove sono. A metà fra ghost story e resoconto di un amore, Lions è ambientato nell’omonima cittadina degli altopiani del Colorado, un luogo ormai quasi del tutto disabitato e ammantato di leggenda. Concepita per diventare una gloriosa città nell’Ovest in via di sviluppo, Lions non è riuscita a trasformarsi nella realtà sognata dai suoi fondatori. Lo zuccherificio è fallito e le uniche attività ancora in piedi sono un piccolo bar, un diner che conta sui viaggiatori provenienti dalla statale e un’officina di lavorazione del metallo che sopravvive a stento. I cittadini di Lions conducono vite semplici, tormentate dai fantasmi – dei loro antenati, delle loro ambizioni e speranze, di un futuro incerto – e, quando un misterioso viandante giunge in città, la sua sinistra presenza spinge molti ad andarsene definitivamente. Fra i pochi abitanti rimasti ci sono Leigh e Gordon, due diciassettenni che sognano di andare al college. Gordon, tuttavia, perde il padre all’improvviso e non riesce a liberarsi del dolore e del senso di responsabilità verso l’insolita eredità ricevuta dal genitore. Si trova quindi a dover scegliere se partire o trattenersi a Lions per rilevare la gestione dell’officina, rinunciando così alle proprie aspirazioni. Lions è una storia di autoconsapevolezza e ambizione, una riflessione sull’ossessione per l’autorealizzazione e sulla responsabilità, e sulle storie che raccontiamo per convincerci che la vita valga la pena di essere vissuta.
Edizioni Black Coffee sta appena esordendo ma ha già un progetto specifico: qual è la vostra visione editoriale? [Retablo di parole]
Vogliamo dare più spazio possibile agli autori esordienti, soprattutto alle voci femminili, andandole a scovare personalmente nelle realtà più indipendenti e vivaci. Proveremo anche a dare spazio alla cosiddetta literary non fiction, che non è la nostra saggistica, bensì l’insieme di quelle opere come diari, memoir, resoconti di viaggio etc. che in Italia non rientrano in una categoria definita, ma che hanno in comune il fatto di nascere da un’esperienza personale ed essere scritti talmente bene da sembrare romanzi, opere di finzione. E come abbiamo fatto quando ancora eravamo solo una collana, ci concentreremo molto sul racconto breve, che tanto amo e credo sia la forma narrativa del futuro. Non mancheranno inoltre recuperi dal passato, di autori fuori catalogo e opere inedite in Italia. Ci muoveremo con cautela, proponendo, per ora, soltanto cinque titoli l’anno, per riuscire a dare loro il giusto peso e la cura che meritano. Il nostro intento è di portare in Italia i libri che in America ci hanno lasciato senza parole per bellezza espressiva, originalità, sincerità.
Perché gli occidentali sono così presi dagli Stati Uniti? Dalla letteratura, ma non solo. Esiste ancora, da qualche parte nel nostro immaginario, un’idea intatta di sogno americano? [Scratchbook]
SARA Dell’America non ci si libera mai, nemmeno a volerlo. L’immaginario che evoca è troppo potente e vario per passare in secondo piano rispetto a quello di altri Paesi del mondo. Più che di sogno americano ora come ora sarebbe il caso di parlare di incubo americano… Il sogno si è infranto, eppure continua a vivere nelle nostre menti.
LEO Gli Stati Uniti sono un Paese da cui abbiamo ereditato talmente tanti aspetti, a livello culturale, che per noi italiani è difficile non esserne “presi”. Ora come ora, poi, è sempre più evidente la centralità dell’America nel nostro immaginario di tutti i giorni, nel bene e nel male: è un luogo che ci fa sognare, che ci dà speranza, ma che riesce al contempo a terrorizzarci. Indirettamente regola tanti, troppi aspetti della nostra vita.
Happy Hour - Mary Miller
Traduzione di Sara Reggiani
Sono seduta su un canottino rosa mezzo sgonfio e cerco di restare in equilibrio al centro, mentre Aggie agita l’acqua con i piedi seduta sulla scaletta. Si è presa un bel po’ di pasticche e di recente si è rasata i capelli. La madre è morta sei giorni fa.
Dopo il successo del suo romanzo di esordio, Last Days of California, Mary Miller torna con una raccolta di racconti che la riconferma come una delle voci più crude e taglienti della sua generazione di scrittori americani. Ammantato dal fascino proprio del Sud degli Stati Uniti, Happy Hour è un susseguirsi di storie di donne, figure tormentate quanto realistiche, in lotta contro se stesse. Donne che bevono, che dipendono dal sesso; donne che prendono decisioni sbagliate accompagnandosi a uomini che le amano troppo o troppo poco; donne che sono la causa della propria rovina. Su uno sfondo di scialbi distributori di benzina, piscine pubbliche, drive-thru e bettole, ciascun personaggio si trascina dietro il proprio fardello nella ferma convinzione di meritare di meglio. Queste donne cercano comprensione nei luoghi più improbabili: nella casa dei genitori adottivi, dove l’amore è vissuto come indice di debolezza, in un campeggio per roulotte dimenticato da Dio, negli angoli di una casa da sogno acquistata col denaro ottenuto da un brutto divorzio. Sono consapevoli dei loro errori e della necessità di un cambiamento, eppure non reagiscono, forse bloccate dalla paura, o dalla semplice pigrizia. Osservando il delicato tessuto della vita quotidiana delle sue protagoniste, Miller ci narra l’amore degli incompresi, la ricerca di conforto nelle cattive abitudini di cui non si riesce a fare a meno e i dettagli quotidiani di rapporti destinati a finire. Con l’onestà che contraddistingue la sua scrittura, Mary Miller firma un lucido e struggente ritratto della femminilità oggi.
Le copertine Black Coffee, realizzate da Raffaele Anello, si discostano da quelle che siamo abituati a vedere per le altre case editrici italiane e conferiscono un’identità editoriale, oltre che rimarcare l’importanza, anche di tipo tattile, del supporto. La McMusa, giornalista e guida letteraria, è la vostra consulente editoriale. Il sito è a sua volta un contenitore di storie grazie alla collaborazione e alla traduzione di pezzi comparsi sulla rivista americana The Believer. Il supporto e la presenza online sono tra i fattori fondamentali nella promozione di una casa editrice, ma quali sono le componenti più importanti della vostra idea di libro e del mondo che vi ruota attorno? [Il mondo urla dietro la porta]
Chi ama il libro anche come oggetto conosce il valore di una bella edizione. Sa cosa significa riporla nella propria libreria accanto alle storie che ha più amato. Noi vorremmo che i nostri lettori provassero un piacere anche fisico nel leggere un libro Black Coffee, che tenendolo in mano sentissero di aver acquistato qualcosa che vale, anche dal punto di vista materiale. Per questo abbiamo messo tanta cura nella grafica e nella scelta della carta da utilizzare. Un libro può salvarti la vita, il minimo che possiamo fare è dargli una bella veste. Io e Leonardo ci siamo semplicemente circondati di collaboratori che capiscono e condividono questo pensiero, il resto è venuto da sé. La promozione e la presenza online sono fondamentali, ma prima di tutto viene il libro. Il libro deve essere protagonista.
Alla luce di questo nuovo progetto, cosa significa per voi essere editori, soprattutto in un Paese complesso come l’Italia? [Retablo di parole]
Significa cercare un interlocutore ideale e mettergli fra le mani tutto quello che di bello hai visto, cercato, trovato in un Paese che non è il suo. E penso che sia importante che a farlo siano, una volta tanto, due traduttori.
Il medico della nave / 8 - Amy Fusselman
Traduzione di Leonardo Taiuti
Non fare sesso su una nave a meno che tu non voglia rimanere incinta. Era quello che diceva sempre l'ex fidanzato marinaio della mia amica Mendi.
Ci sono storie di cui le persone non parlano, storie che per essere raccontate richiedono coraggio e costringono chi sa ascoltarle a rimettere in discussione la propria realtà. Storie come quelle che Amy Fusselman narra in questo libro a metà fra il memoir e il diario. Il medico della nave e 8 sono brevi riflessioni sul rapporto con due uomini che, in modi opposti, hanno influenzato irrimediabilmente la sua vita: il padre appena scomparso e quello che lei chiama «il mio pedofilo». Intrecciando astratto e quotidiano l’autrice affronta temi quali la maternità, l’abuso sessuale, la morte e il perdono con l’agilità e l’esuberanza di una bambina che gioca. Ne scaturisce una concezione del mondo come luogo strano e speciale, in cui spazio e tempo sono ancora concetti fluidi e misteriosi. Attraverso la scrittura Amy Fusselman rivive momenti dolorosi del suo passato nel tentativo di superarli, regalandoci una meditazione piena di amore e speranza su cosa significhi scendere a patti con un’esperienza traumatica.
E per oggi, da Bibliomania, è tutto: ma se la storia e i libri di Black Coffee vi hanno incuriositi almeno un po', seguite la pagina Facebook di Book Bloggers Blabbering: tutto il mese sarà dedicato a loro, e tra recensioni, presentazioni e tanto altro ce ne sarà per tutti i gusti.
Buone letture e, se come me ne bevete a litri - è proprio il caso di dirlo - buon caffè!
Vostra,
Cami