sabato 27 marzo 2010

Fuori da un Evidente Destino - Giorgio Faletti

Titolo:Fuori da un Evidente Destino
Autore:Giorgio Faletti

Anno:2006

Editore:
Baldini Castoldi Dalai Editore
ISBN:88-8490-985-6

Pagine:
495

T
rama:Jim MacKenzie torna alla sua cittadina di origine dopo anni in cui aveva fatto di tutto per sfuggirne. Convinto di doverci rimanere solo per pochi giorni, rimarrà incastrato in una sequenza di delitti e vicende, anche personali, che lo costringeranno a rimanere e ad affrontare insieme minacce esterne e i suoi demoni personali.

Questo è il secondo libro di Faletti che leggo, e la mia prima impressione non viene smentita: questa è stata davvero una bella lettura.
Un thriller ottimo, che mantiene alto l'interesse del lettore senza particolari problemi.
Ciò che più mi ha colpita è stata la caratterizzazione della variegata galleria di personaggi che abitano questo romanzo: Jim è un personaggio realistico, l'eroe della storia che però comincia il suo percorso dal basso, risalendo e uscendo dal suo "buio" man mano che capisce cosa deve fare, co
come gli altri protagonisti che lo accompagnano in questa caccia all'assassino.
Inoltre, l'azione si sviluppa partendo prima da vicende più personali del nostro caro Jim, per poi svilupparsi man mano in una vicenda di respiro più ampio e quindi sfociare nell'indagine, direi quasi collettiva, che muove questo mosaico di persone.

Il pathos e l'interesse nei confronti della storia non scadono mai, anzi, posso dire che personalmente la mia curiosità (una volta ingranata la vicenda) cresceva esponenzialmente, anche grazie a colpi di scena non banali, almeno per quanto riguarda la trama.
Perchè in effetti, è questo il problema principale del libro: trama bella, ben tenuta ed intrigante, Faletti mostra di sapersi orientare senza particolari problemi e di non perdere il filo, ma (ed è un ma abbastanza importante per me) alcune vicende riguardanti i personaggi sono risultate un po' ovvie. Come se l'autore, tutto concentrato sul rendere piacevole e ottima la trama a livello generale, si fosse poi perso in alcuni particolari sui rapporti interpersonali: i personaggi, lo ripeto, mi sono piaciuti molto, ma quando interagiscono tra loro sembrano quasi perdere la verve che li caratterizza nelle loro riflessioni.
Questo, per me, è irritante; in questo modo la maggior parte delle dinamiche personali è resa ovvia dopo le prime tre facciate di presenza. S'intuisce senza troppe difficoltà chi starà con chi, come e perchè.
E' ancora più irritante se poi penso che ha scritto un finale fantastico, che si basa soprattutto sullo sviluppo del personaggio.
Come si può essere così bravi a creare delle persone, e così distratti nelle interazioni tra queste stesse persone? I misteri della scrittura.

Per quanto riguarda la storia in sè e per sè, ammetto di essermi lasciata trasportare moltissimo dall'ambientazione, che è legata al mondo degli indiani d'America e alle loro tradizioni. E' una civiltà che mi ha sempre incuriosita, e saperne qualcosa di più mi ha fatto molto piacere! Soprattutto perchè la figura dell'indiano più singolare del romanzo, Charlie, è anche uno dei personaggi più interessanti; il capitolo Le Origini, inoltre, è un piccolo tuffo nella loro civiltà davvero ben congegnato. Una delle parti più intense, secondo me.
Quella che però Faletti rappresenta è, inizialmente, la vita da squallida città di medie dimensioni e belle speranze del sud degli U.S.A.; più che con le descrizioni, questa è resa viva dalle azioni dei personaggi. Si capisce, da quel che sono diventati, cosa li ha portati ad agire in un certo modo. E questa cosa è la loro terra d'origine, a cui tutti sembrano dover tornare per assistere a questa catena di omicidi che rasenta il massacro.
Si può dire che il ritorno, in effetti, sia un tema importante in questo libro: Jim ne è un esempio su tutti, che torna nella propria città di nascita (da cui ha sempre cercato di fuggire). Senza contare poi il ritorno di un vecchio retaggio, di vecchi ricordi, e di molte vecchie questioni in sospeso.
Sono ritorni che condizionano la vita e a cui non si può non rispondere, per non rimanere fermi nello stesso punto per tutta la vita: mi sembra quasi che sia questo il messaggio che arriva al lettore. I nostri protagonisti, infatti, riescono a muoversi e a risolvere i problemi con gli altri e con sè stessi solo quando, finalmente, decidono di affrontare questo ritorno. La conclusione si posiziona esattamente su questa linea. Solo quando si decide di confrontarsi coi propri fantasmi si può sperare.

In poche parole: un libro che si fa leggere, sicuramente ottimo, ma gli manca quel non so che che potrebbe renderlo fantastico.
Una lancia però la devo spezzare; quando si inizia a delineare meglio la faccenda e a scoprire più cose riguardo agli omicidi, beh... lì mi ha fatto venire i brividi su per la schiena. Ritengo che provocare paura sia uno dei compiti più difficili che uno scrittore può affrontare!

Voto:

7,5

Frasi e Citazioni che mi hanno colpita...

  • "Ogni uomo ha un fratello che è la sua copia esatta. E' muto e cieco e sordo ma dice e vede e sente tutto, proprio come lui. Arriva nel giorno e scompare la notte, quando il buio lo risucchia sottoterra, nella sua vera casa. Ma basta accendere un fuoco e lui è di nuovo lì, a danzare alla luce delle fiamme, docile ai comandi e senza la possibilità di ribellarsi. Sta disteso a terra perchè glielo ordina la luna, sta in piedi su una parete quando il sole glielo concede, sta attaccato ai suoi piedi perchè non può andarsene. Mai. [...] Quest'uomo è la tua ombra. E' con te da quando sei nato. Quando perderai la vità, la perderà con te, senza averla vissuta mai. [...] Cerca di essere te stesso e non la tua ombra, o te ne andrai senza sapere che cosa è la vita."
  • Niente divideva l'amore tra esseri umani dal calore degli animali se non la sua percezione, la possibilità di sentire e di capire. E la capacità di reagire.
  • "[...]Ho sempre pensato che sarei passato in questo mondo senza lasciare traccia, perchè nessuno è veramente in grado di farlo.[...]"
  • "L'amore è fatto di pioggia. Solo il vento sa quando e dove può arrivare. Ma se la Terra ama gli uomini senza chiedere niente in cambio, allora tuo figlio su questa stessa Terra può amare Thalena."
  • Ma il coraggio era anche quello. Era la consapevolezza che l'insuccesso fosse comunque il frutto di un tentativo. Che talvolta è meglio perdersi sulla strada di un viaggio impossibile che non partire mai. E che ogni uomo, anche quando è solo, ha comunque la sua anima come compagna di viaggio.
  • Purtroppo a volte non è possibile scegliere il momento in cui combattere. Possiamo solo farlo con coraggio quando ci viene chiesto...

Alla prossima! :)

Cami

PS: scusatemi se la recensione non è un granchè... probabilmente faccio sembrare il libro molto peggio di com'è in realtà (lo giuro, è davvero molto bello, solo che quei difettucci mi hanno infastidita).
Prometto che cercherò di scrivere post migliori; ultimamente la scuola si è presa la maggior parte delle mie energie, ma le settimane di Pasqua dovrebbero darmi una ricarica sufficiente per ripartire con lo sprint ;D





domenica 7 marzo 2010

Ristorante al Termine dell'Universo - Douglas N. Adams

Titolo:Ristorante al Termine dell'Universo (originale:The Restaurant at the End of the Universe)
Autore:
Douglas Noel Adams

Anno:
1980

Editore:
Arnoldo Mondadori Editore
Traduzione:Laura Serra
ISBN:
978-88-04-50794-9

Pagine:
245

Trama:Arthur, Ford, Trillian e Zaphod, sfuggiti a diversi pericoli mortali ed esilaranti, non vogliono altro che trovare un ristorante dove rilassarsi un po'. Purtroppo molte altre persone hanno dei piani differenti per i nostri protagonisti...

Tornare alla Guida è stato più che un piacere: era una vera e propria necessità. Non potevo non conoscere le sorti dei miei amati, pazzi eroi! E sapere che ho altri tre libri da passare in loro compagnia è fantastico (e già mi fa sghignazzare, ricordando il divertimento provato leggendo i primi due volumi).
Vi dico sin da subito che questa recensione non sarà un "malloppone" come mio solito, perchè la maggior parte di quello che penso l'ho scritto nella recensione a Guida Galattica per gli Autostoppisti; tuttavia, non mi sembrava giusto non dedicare un po' di spazio a questo sequel, che fa onore al suo predecessore, senza ombra di dubbio.

Il fatto che que
sto nuovo capitolo della serie cominci da un thè mi pare esprimere perfettamente l'atmosfera british che caratterizza il lavoro di Adams: tipico degli inglesi, ed in particolare dello sfortunato Arthur che, ricordiamo, non riesce a bersi un thè decente dall'inizio dello scorso libro!
Per quanto riguarda gli altri scalcagnati personaggi a bordo della Cuore d'Oro, Ford continua a essere la guida migliore per il povero Dent, (giustamente) ancora spiazzato dalla scoperta di un intero Universo vivo oltre la propria Terra; Trillian, onestamente, si vede poco; Zaphod, invece, si alza in tutto il suo splendore. I suoi dialoghi con sè stesso, privato di una fetta di ricordi e di un bel po' di cervello, mi hanno fatto ridere come non mai!Inoltre scopriamo aspetti di questo personaggio
che non mi sarei mai aspettata, principalmente riguardo al suo passato.
Per quanto riguarda la storia, due sono gli episodi che mi hanno colpita maggiormente: la descrizione del Ristorante al Termine dell'Universo e l'incontro con un personaggio speciale che abita in una capanna (rimango ermetica, così evito di rovinare la lettura a qualcuno; chi ha letto il libro certamente capirà). Il primo è un luogo assolutamente folle, un posto sul confine della fine dei tempi che propone uno spettacolo tanto affascinante quanto morboso: l'ultimo attimo di vita dell'Universo. La presenza di tantissimi avventori dovrebbe sottolinearne il fascino; eppure io non riesco a pensare che forse DNA (così si faceva chiamare Adams, per le sue iniziali) volesse dirci qualcosa. Non è, infatti, una cosa inutile voler vedere la fine, senza curarsi di cosa c'è prima? Perchè andare ad osservare l'ultimo attimo quando per noi c'è ancora tanto da vivere?
Ma probabilmente queste sono le mie elucubrazioni...
Per quanto riguarda invece il secondo episodio, è un puro concentrato di ironia, nascosta sotto una patina di umorismo semplice. Fantastica conversazione che porta a riflettere, e a considerare gli oggetti e la realtà attorno a noi diversamente. Ma soprattutto, porta a riflettere sul concetto di potere, di governo e di libero arbitrio. Sono tutti concetti analizzati con attenzione, anche se nascosti; e sono importantissimi. Portano ad una riflessione profonda e non esente da una sorta di critica al nostro tempo, dove governare la gente sembra più un'opera a fini di lucro che un servizio per la comunità, come dovrebbe invece essere.
Questi due episodi sono fondamentalmente legati ad una realtà che ammetto di non aver capito molto bene: la dinamica dei viaggi spazio-temporali. Ed è una dinamica importante, perchè c
ondiziona molto la storia anche in un altro senso, soprattutto per quanto riguarda Ford e Arthur; ma proprio non riesco ad entrare nella logica del meccanismo.
Altro piccolo particolare: finalmente ci è concesso di vedere la sede in cui viene redatta la Guida. Forse niente di speciale in sè e per sè, ma a me è piaciuto tantissimo poter scoprire questi locali (e la trovata degli ascensori emotivi è fantastica!).

Il finale lascia appesi, e sinceramente mi ha fatto mentalmente urlare *NOOOO!*. Non perchè non l'abbia amato, ma perchè alcuni avvenimenti che accadono lasciano davvero a bocca aperta. Prop
rio le ultime righe avrei voluto prendere Arthur e ammazzarlo... vedremo se troverà redenzione nel prossimo capitolo della saga.

Un libro in sintesi più concentrato sulla trama rispetto a quello precedente, ma non per questo me
no caratterizzato da un disfattismo ironico tipicamente inglese, anzi, tipicamente alla Adams, che trascina il lettore in una girandola di assurdi avvenimenti e battute da ridarella!

Voto:

9,5

Frasi e Citazioni che mi hanno colpita...
  • Il succo della storia fin qui. Al principio fu creato l'Univero. Questo fatto ha sconcertato non poche persone ed è stato considerato dai più come una cattiva mossa.
  • La Guida Galattica per gli Autostoppisti è un volume indispensabile a tutti coloro che sono ansiosi di capire la vita in questo Universo infinitamente complesso e caotico. Se infatti non può pretendere di essere utile e aggiornata in tutte le materie, per lo meno afferma inequivocabilmente che, quando è inesatta, lo è in maniera definitiva. E ciò è assai rassicurante. Nei casi di grossa discrepanza è dunque sempre la realtà che sbaglia. Tale era il succo del cartello, che diceva: "La Guida Galattica è infallibile. E' la realtà, spesso, a essere inesatta".
  • L'Universo, com'è già stato notato in altre sedi, è un posto maledettamente grande, cosa che, per amore di un'esistenza quieta, la maggior parte della gente finge di non sapere. [...] Benchè un simile comportamente possa sembrare strano, non c'è forma di vita nella Galassia che non si sia resa colpevole in qualche modo dello stesso errore, ed è per questo che il Vortice di Prospettiva Globale suscita un orrore indicibile. Quando infatti si viene messi nel Vortice si ha per un attimo la visione globale di tutta l'infinita, inimmaginabile immensità della creaione, e in mezzo a questa immensità si ha modo di distinguere un segnale minimo, minuscolo, microscopico, che dice Tu sei qui.
  • -Ma... e la Fine dell'Universo? Ci perderemo il momento più bello. -L'ho già visto. Fa schifo - disse Zaphod. - Nient'altro che uno gnab gib. -Uno che? -Uno gnab gib, il rovescio del big bang. Su, venite, sbrighiamoci.
  • Il maggior problema, ossia uno dei maggiori problemi (ce ne sono tanti) che l'idea di governo fa sorgere è questo: chi è giusto che governi? O meglio, chi è così bravo da indurre la gente a farsi governare da lui? A ben analizzare, si vedrà che: a) chi più di ogni altra cosa desidera governare la gente è, proprio per questo motivo, il meno adatto a governarla; b) di conseguenza, a chiunque riesca di farsi eleggere Presidente dovrebbe essere proibito di svolgere le funzioni proprie della sua carica, per cui: c) la gente e il suo bisogno di essere governata sono una gran rogna.

Alla prossima, come sempre :D

Cami

Anna Karénina - Lev N. Tolstòj

Titolo: Anna Karénina (originale: Анна Каренина [Anna Karénina])
Autore:
Lev Nikolaevič Tolstòj

Anno:1877

Editore:
CDE (su licenza Arnoldo Mondadori Editore)
Traduzione:
Ossip Felyne
ISBN:
//

Pagine:1029

Trama:
Il celeberrimo romanzo è un affresco della società russa dell'epoca, che si muove seguendo principalmente le vicende di quattro personaggi: Anna, Vronski, Levin e Kitty. Storie legate che si uniranno e scioglieranno, attraverso le quali Toltstòj analizza l'essere umano e le sue passioni.

Proprio non capisco come molte persone possano ritenere la letteratura russa "pesante"; è il mio primo incontro con Tolstòj e i russi in generale, ho anche iniziato con questo libro che per numero di pagine non è proprio una piuma, eppure me ne sono innamorata. Ma visto che, ovviamente, alla fine l'unica regola ch
e vale è quella del De Gustibus, inizio la mia recensione :)
Tolstòj è, senza alcun dubbio, un narratore superbo: descrive ogni gesto come se fosse un commentatore minuzioso, senza per questo apparire morboso, nè tanto meno poco godibile da leggere. Un giostratore di senti
menti, per come riesce a rendere rabbia, orgoglio, amore, passione, frustrazione, disperazione; sono tutte queste, e mille altre ancora, le emozioni che i personaggi di questa epopea russa vivono in mille pagine che volano via, leggere. Inizialmente pensavo a come sarebbe potuto risultare fresco e accattivante un romanzo così lungo, la cui storia mi era stata riassunta tempo fa in quattro-cinque righe; ebbene, non solo il libro si conserva interessante, ma addirittura si sviluppa sino a portarci dentro la storia, tanto che leggendo le ultime righe non si può che pensare "come, ci ha messo così poco a raccontare tutto questo?".
Sarà una caratteristica tipica dei narratori dell'800, non lo so.
Però voglio cercare di parlare con
ordine, e quindi prenderò i personaggi principali uno ad uno, per evitare pasticci e disordini vari.

Partiamo da Kitty, al secolo
Katerina Alexandrovna Ščerbatsky: stranamente, nonostante alcuni dei suoi atteggiamenti nella fase della sua vita precendente al viaggio all'estero, non mi è sembrata affatto odiosa e anzi, mi è piaciuta. Questo perchè, credo, Tolstòj riesce a rendere perfettamente il fatto che questo non è dovuto al carattere in sè di Kitty, ma al suo essere ancora giovane e ingenua; qualcosa che può svilupparsi, fino a migliorare e scomparire, con l'età adulta.
Infatti inizialmente la piccola Ščerbatskaia appare troppo "frivola", talvolta poco attenta a chi le sta attorno: un esempio lampante è il suo comportamento nei confronti di Levin, all'inizio della storia. Eppure, man mano che segue la narrazione e cresce, si sviluppa in quella che mi è sembrata una donna matura, capace di muoversi mantenendo la sua grazia infantile.
E poi lo ammetto, i dialoghi di sguardi, la comprensione, il gioco di indovinare le frasi attraverso le iniziali, mi hanno colpita moltissimo. Ho un animo romantico anche io...
Inoltre, dimostra una forza non comune quando deve occuparsi di Nicola, il fratello di Levin; non solo una tenera bambola di porcellana, quindi, ma una persona che sa cosa vuole.

Passiamo ora al secondo personaggio, Vronski (ovvero Alessio Kirillovič Vronski) . Sappiate che sarò decisamente poco soggettiva, perchè questo personaggio mi è stato antipatico a pelle, fin dalla sua prima apparizione! L'unico motivo per cui non l'ho odiato del tutto è che dà modo a Tolstòj di sviluppare su carta la forza e l'intensità di una passione amorosa incredibile. Falso ed irresponsabile, suscita più pena che rabbia semplicemente perchè non sembra rendersene conto: tutto contento, convinto che il suo sia il miglior modo possibile di vivere ed agire, mentre in realtà il suo è un mondo chiuso, come una scatola bellissima in cui però l'ossigeno inizia a scarseggiare. Vronski è vuoto, come la società in cui si aggira con i bei vestiti e le interessanti conversazioni di niente; la sua necessità di cambiare e di vivere davvero è comprensibile, ma non per questo condivisibile o meno odiosa.
Soprattutto perchè trascina Anna con sè, segnando fatalmente la vita di questa povera donna: il primo dialogo tra lui e lei è maginifico, esprime una passione incredibile, tale da innalzare agli occhi del lettore Vronski, che per un momento (quasi come uno stilnovista) viene innalzato dal suo sentimento. Tuttavia, nonostante tutto, dentro rimane sempre il medesimo uomo, e questo non può portare altro che male, soprattutto in un ambiente come quello descritto da Tolstoj: una società cittadina aristocratica finta, disinteressata, vuota, dedita ad un magnifico quanto vacuo gioco delle apparenze. Solo in due momenti ho apprezzato la sua figura, a onor del vero: in quello, già citato prima, della prima fase dell'innamoramento e in quello in cui lui riconosce la propria bassezza e compie un atto disperato. Peccato che nessuno dei due, come ho detto, sia servito a rinnovarlo.

Ma passiamo proprio a lei, ad Anna. Questa presenza di donna che perme tutto il romanzo, anche quando non c'è e si parla di tutt'altro; la sua apparizione nel tessuto narrativo porta una scossa di forza incredibile. Con i ricci neri e il collo lungo, pallido, la grazia incurante prima, esasperata e quindi persa dopo, ma soprattutto con l'indomita forza dei suoi sentimenti, Anna strega tutti attorno a sè, anche il lettore.
Ciò che penso sia preponderante in questo personaggio è l'immensa portata della sua passione. Sembra quasi che tutta la struttura esterna del suo corpo si regga su uno scheletro di palpitazioni, di amore che necessita una via d'uscita: forse è proprio per questo motivo che la sua storia finirà in modo tanto tragico. In un'epoca in cui una tale forza era da tenere nascosta, Anna la lascia uscire senza vergogna, rimpianti e ripensamenti, con la stessa naturalezza con cui soffia il vento (espressa magnificamente, secondo me, nel capitolo XXIX della prima parte).
Senza contare, inoltre, la pena che ispira quando narra dei suoi terribili sogni e quando parla del piccolo Seriogia.
Però, perchè c'è un però, Anna non è solo bellezza e grazia. Le passioni, si sa, possono diventare negative se oltrepassano certi limiti e diventano ossessioni: così il suo amore per Vronskij, se all'inizio appare come qualcosa di puro e vero (nonostante sia un legame adulterino), si trasforma man mano in un terribile rapporto distruttivo, in un climax ascendente di disperazione, che porta la Karénina ad azioni vili (come l'abitudine alla menzogna, la straripante gelosia, l'abbandono di passati affetti che la porterà poi a sensi di colpa da cui è impossibile scappare). Cambia e diventa ambigua ed ambivalente: questa situazione è resa in modo maginifico nelle ultime descrizioni di gelosia e di confusione mista a disperazione, superbe per la realisticità acuta e amara con cui ci vengono presentate.
Parlando di Anna, però, non posso non spendere due parole sul suo povero marito, Alessio Karénin. Innanzitutto, per un fatto che mi ha colpito molto: amante e marito portano lo stesso nome. Anche Anna, ad un certo punto del libro, nota e riflette su questo particolare; è come se Tolstòj volesse farci vedere le due facce di una stessa medaglia.
In secondo luogo, perchè è un personaggio che merita e che rimane certamente impresso: in fondo si dimostra buono, imperfetto ma ammirevole, nonostante non riesca a comprendere Anna e a staccarsi dal proprio modo di vivere. Sul finire cala un pochino, però devo dire che mi ha stupita più volte nel corso del romanzo per come cerca di relazionarsi con lei, a cui nonostante tutto vuole un gran bene; è tenero per le lacrime che versa, terribile nel riversare tutte le colpe su Anna.

E passiamo ora a lui, il mio personaggio preferito: Levin, cioè Costantino Dmitrievič Levin. Il suo incredibile amore per Kitty, il tormento che prova (tale da essere fisicamente percepibile) e i dubbi esistenziali che lo accompagnano per tutto il corso del romanzo lo rendono amabile, nonostante gli errori, la gelosia, alcune idee che non condivido (come il suo pensiero riguardo l'istruzione della donna).
E' un uomo fondamentalmente buono, votato alla ricerca dell'amore, che si concretizza nella figura di Kitty, e alla ricerca della verità, in questo caso un'illuminazione sulla fede ed il significato della vita.
E' un personaggio che secondo me parte in sordina, per poi innalzarsi lentamente; si fa scoprire per davvero solo quando si arriva alla parte in cui si parla della sua vita in campagna, che è anche un ottimo modo di mostrare il contrasto tra il mondo rurale e il mondo cittadino. Il primo, infatti, nonostante l'arretratezza e la testa dura dei contadini (i mugik, di cui questo romanzo parla ampiamente, portando sottintesa secondo me l'opinione dell'autore, che pare propendere verso l'idea di un rinnovamento), sembra conservare un'innocenza e una serenità sconosciuta agli abitanti delle metropoli come Pietroburgo o Mosca, rappresentati da Stefano Arcadievic e dalle amicizie di Vronski e Anna; e ho notato che, mentre molti dei personaggi vivono in città le loro disgrazie (Dolly, per fare un esempio), in campagna sembrano raggiungere quella serenità tanto agognata.
Levin, oltretutto, è utilizzato anche come perfetto esempio del valore salvificante di un amore puro e incondizionato: basta notare la differenza tra il suo sentimento, che lo innalza, e il rapporto distruttivo di Anna, che la schiaccia.
Tornando al personaggio in sè, Levin mi è piaciuto soprattutto per i già citati dubbi e tormenti; Tolstòj li rende in una maniera talmente viva da farli percepire fisicamente al lettore, così come la sua agitazione e in generale i sentimenti preponderanti che lo caratterizzano. La sua reazione a notizie positive magnifiche (che non scrivo, sia mai che qualcuno si rovini la lettura) ci rende partecipi della sua gioia, e la risoluzione dei suoi dubbi, alla fine del romanzo, sono la perfetta conclusione di questa storia meravigliosa.

Questi quattro personaggi si uniscono, s'incontrano, sembrano quasi legati da un filo rosso; creano amori del genere che poteva nascere solo allora, dove lo sguardo infiammava più di ogni altra cosa. Tolstòj riesce a rendere tutto questo con similitudini eccezionali e frasi meravigliose che in altri sarebbero solo l'ennesimo clichè, mentre in questo libro sembrano una ventata d'aria fresca.
In più, ho amato molto i vezzeggiativi tipici della cultura russa e il fatto che, nonostate i nomi da ricordare fossero tanti (i personaggi secondari che girano attorno ai nostri protagonisti sono un'infinità), tutti siano caratterizzati abbastanza bene da non essere dimenticati, anzi, da associarsi ad una precisa immagine mentale.

Un libro fantastico, senza dubbio da massimo dei voti.

Voto:

10

Frasi e Citazioni che mi hanno colpita...

  • Tutta la varietà, tutto il fascino e tutta la bellezza della vita nascono dalle ombre e dalle luci...
  • Gli pareva che tutte quelle tracce della sua esistenza si impadronissero di lui e gli sussurrassero: "No, non ti libererai e non diventerai un altro, resterai quale sei: con i dubbi, il continuo malcontento di te stesso, gli sterili tentativi di perfezionamento, le ricadute e l'eterna attesa di una felicità alla quale non sei destinato e che non puoi conseguire". Ma mentre subiva l'impressione che gli oggetti gli parlassero così, una voce interna gli ripeteva che non doveva sottomettersi al passato e che poteva fare di sè tutto quel che voleva.
  • Anna leggeva, assorta nella lettura, ma non poteva accontentarsi di seguire le vicende altrui. La sua sete di vita era troppo grande. Quando leggeva come l'eroina del romanzo curasse un ammalato, avrebbe desiderato di essere lei a camminare con passo lieve lieve nella stanza dell'infermo; quando leggeva come un membro del parlamento pronunciasse un discorso, avrebbe voluto essere lei a prendere la parola.
  • "L'amore..." ripetè la donna lentamente, con voce grave e intima, mentre riusciva infine a staccare il pizzo. "Non mi piace questa parola perchè le do un significato molto più grande, molto più profondo di quanto possiate credere."
  • "Questo è vero... Penso continuamente alla morte. Non è forse vero che andiamo avvicinandoci alla fine e che tutto attorno a noi non è che vanità? Ti confesso che tengo molto alla mia idea e alla mia opera... Ma in realtà, pensaci! tutta la nostra vita non è altro che un po' di muffa sulla crosta di un piccolo pianeta. Noi immaginiamo, invece, di possedere qualche cosa di grande: idee, opere! Non sono che granelli di polvere. [...] "
  • "Si può amare chi vi odia, ma non chi si odia. [...] "
  • Levin aveva notato più di una volta che, nelle discussioni fra persone intelligenti, dopo molti sforzi, molte sottigliezze di logica e molte parole, gli interlocutori finivano per arrivare alla conclusione di essersi affaticati a voler provare l'uno all'altro ciò che da tempo era noto a ognuno di essi.
  • Ogni osservazione che dimostrava come un altro avesse capito almeno in parte ciò ch'egli aveva voluto esprimere lo turbava fino in fondo all'anima. Attribuiva ai critici una percezione più acuta della sua e si aspettava dal loro giudizio rivelazioni nuove, di cui non si credeva capace; e spesso gli pareva di scoprirle nelle opinioni che sentiva esprimere.
  • Aveva la coscienza di non potersi liberare dalla crudeltà umana, perchè quella crudeltà era provocata non dai suoi torti (in questo caso avrebbe potuto rimediare sforzandosi di essere migliore); la causa del disprezzo generale era da ricercare nella sua sventura umiliante e vergognosa. Sapeva che la gente l'avrebbe trattato spietatamente proprio per il fatto che il suo cuore era dilaniato; così come un branco di cani finisce di sbranare un cane malconcio che guaisce di dolore.
  • "Se tu studierai allo scopo di ottenere una ricompensa, lo studio ti sembrerà difficile [...] Ma amando il lavoro, troverai in esso la ricompensa."
  • "C'è qualcosa di straordinario nella dichiarazione di un uomo, nel suo modo di farla, nel momento stesso... Esiste tra i due una certa barriera, e a un tratto, viene abbattuta..."
  • Per tutto quel giorno essa subì una bizzarra impressione; le pareva di recitare una commedia con attori molto più valenti di lei e di guastare l'insieme con la sua interpretazione deficiente.
  • Quando cercava d'indagare che cosa fosse e perchè vivesse, non trovava risposta e cadeva nella disperazione. Ma quando smetteva di torturarsi con questo pensiero, pareva sapesse qual era la sua ragione di vivere e perchè vivesse e agisse nella vita reale in un modo ben definito.

Alla prossima! :D

Cami