Buongiorno a tutti, cari lettori!
Oggi vi offro un post un po’ speciale, sperando che vi possa piacere.
Come alcuni di voi (chi mi segue su Google+ o su Twitter) sanno, il 16 di questo mese sono riuscita a seguire un paio di conferenze di Bookcity Milano, un nuovo evento legato al mondo della letteratura. Ammetto che parte di me temeva di potersi trovare di fronte a una “Milano book fair – Parte seconda”; fortuna che sin dalle premesse la situazione sembrava migliore. Insomma, per Bookcity si è scomodato tutto il Castello Sforzesco, centinaia di punti sparsi per Milano, autori, professori e conferenzieri noti anche a chi non mastica l’ambiente propriamente culturale, un elenco di attività e incontri da far invidia…
Sono felice di dirvi che le mie aspettative sono state pienamente soddisfatte e che partecipare a questo evento mi è piaciuto moltissimo. L’anno prossimo mi organizzerò meglio (e con un po’ d’anticipo) e cercherò di seguire quante più attività possibile – non dubito che la puntata 1 di questo evento (questa è stata prudentemente chiamata “puntata 0”) sarà anche meglio di quella di quest’anno.
Ma torniamo al presente e, in particolare, alle due conferenze che ho seguito. Visto che hanno trattato di argomenti particolarmente interessanti, ovvero cosa spinge un editore a scegliere un libro da pubblicare e la bibliodiversità, ho pensato di prendere qualche appunto e di parlarvene qui su Bibliomania. Visto che sono state conferenze molto dense, ho deciso di fare due post, così potrò dedicare ad ognuna delle due conferenze lo spazio che merita. Spero che la mia idea vi piaccia e che questi post portino a tante discussioni interessanti.
[NdC: ho evidenziato i nomi delle relatrici con colori diversi, per rendere più agevole e chiara la lettura. Le domande sono evidenziate d’azzurro.]
La prima conferenza che ho seguito è stata quella sulla selezione editoriale. Le relatrici sono state molto chiare e appassionate nelle loro spiegazioni, sfoggiando anche una buona dose di ironia. Si poteva percepire chiaramente il loro desiderio di far conoscere delle realtà complicate, ma anche piene di soddisfazioni, come quelle dell’editoria indipendente.
Per rompere il ghiaccio, Alessandro Beretta ha chiesto a questo fantastico quartetto di donne di presentarsi e di introdurre la loro casa editrice. Comincia Emilia Lodigiani, fondatrice di Iperborea (che quest’anno compie 25 anni! Auguri!). La signora Lodigiani ci tiene a sottolineare il mantenimento della fede al progetto iniziale, ovvero la volontà di promuovere la letteratura del Nord Europa in Italia: questa specializzazione, chiaramente, la porta ad affrontare la selezione in modo diverso rispetto alle sue colleghe, poiché lavora principalmente su libri già pubblicati e quindi già passati attraverso una certa scrematura. Ovviamente, però, lei compie un’ulteriore raffinatura, scegliendo i libri che reputa adatti per il mercato italiano e che sono di suo gusto – com’è giusto che sia, aggiungo io.
In generale, accettano 1/6 dei libri proposti dalle case editrici nordiche e spesso cercano di pubblicare ciò che viene proposto direttamente dai traduttori, che non di rado propongono per la pubblicazione libri che, per passione, hanno già tradotto, senza sapere se ci fosse la possibilità di un effettivo riscontro positivo.
Pubblicano circa 18 libri l’anno e al momento lo staff di Iperborea consta di 8 persone.
Continua Claudia Tarolo, voce femminile del duo di Marcos y Marcos. Subito si presenta come una donna dalla battuta facile: comincia dicendo che, quando le arriva un libro di un autore nordico, il primo pensiero che le viene in mente è “se arriva dal Nord e non è stato pubblicato da Iperborea, ci facciamo due domande!”. Una bella dimostrazione di stima, senza dubbio. Tornando più seria, la signora Tarolo ha specificato che la sua casa editrice utilizza vari canali attraverso cui riceve proposte (editori stranieri, traduttori, scout letterari, la proposta di manoscritti da parte degli stessi autori – pensate, gli arrivano da 10 a 20 buste al giorno da parte di aspiranti scrittori!), ma che ama anche andarsi a cercare personalmente libri interessanti, cercandoli nelle librerie all’estero, nei cataloghi di editori di tutto il mondo, girovagando per la rete…
La Marcos y Marcos, poi, si distingue per aver scelto di ridurre la produzione editoriale, limitandosi alla pubblicazione di 13 novità l’anno, scegliendo solo libri in cui si crede fino in fondo e su cui si punta tutto, dedicandogli la massima attenzione. Lo staff consta di 9 persone.
Si presenta poi Daniela di Sora, fondatrice di Voland, che esordisce definendo la propria linea editoriale come un incrocio tra le due appena presentate: inizialmente si occupava solo di letteratura slava, ma ha dovuto rinunciare per la mancanza di introiti. Decide allora di aprire a tutti gli altri paesi, cercando però di mantenere il focus su autori di zone poco conosciute dai lettori italiani, come la Catalogna e il Belgio; evita, dunque, le letteratura già ampiamente esplorate, come quella anglofona. In generale evitano anche di pubblicare italiani, salvo eccezioni: agli aspiranti autori che le inviano i loro manoscritti risponde spesso di controllare meglio il catalogo della casa editrice cui si invia il libro, per non spedirlo a realtà (come quella di Voland) evidentemente non propense alla pubblicazione dei loro libri.
In casa editrice sono in cinque e pubblicano, negli “anni grassi”, un massimo di 22-23 libri l’anno – mai di più.
A questo punto si aggiunge Ginevra Bompiani, direttrice di Nottetempo, arrivata dopo a causa del ritardo di un treno (o così mi pare di aver capito). Per quanto riguarda la sua casa editrice, la signora Bompiani afferma di non aver mai avuto un ambito specifico: si dà uno sguardo particolare a due antipodi, ovvero all’Italia e a paesi “dall’altra parte del mondo”, a libri pubblicati in lingue sconosciute, quasi a “indovinare” dai samples (poche pagine tradotte – spesso in un inglese approssimativo, pare – ad uso e consumo degli editori stranieri) come sarà il libro intero.
Ora accettano anche l’invio di opere in formato .pdf, per evitare di essere sommersi dalla carta – anche se in un certo senso preferiva l’invio dei cartacei, perché poneva un “freno”: è più dispendioso e difficile inviare molti manoscritti a molte case editrici, mentre fare un invio multiplo a 200 e-mail è facile. La Bompiani ha messo ben in chiaro che, se subodorano questa cosa, difficilmente prenderà in considerazione il libro proposto: vuole un rapporto diretto, di scelta decisa e di fiducia.
A questo punto, il moderatore Beretta lancia un input: il verbo tematico, in tutti questi discorsi, sembra essere “credere”, ovvero avere fiducia nei libri che si decide di pubblicare.
Subito la signora Bompiani identifica il verbo “credere” con il verbo “piacere”, identificando il gradimento personale come primo criterio assoluto (quindi, “si pubblica ciò che all’editore piace”). Si crea un rapporto a tu per tu con ogni manoscritto, almeno nelle realtà indipendenti: si pone infatti l’accento sulla sostanziale differenza tra il pensiero da editore indipendente (definito “desperate housewife dell’editoria”) e quello manageriale, che si appoggia a parametri più oggettivi per la scelta dei testi da pubblicare (vendite all’estero, dati dell’autore…).
Non che gli indipendenti non tengano conto di questi dati: semplicemente, per usare le parole della direttrice di Nottetempo, “se ne dimentica” per un po’, perché sceglie prima di tutto ciò che incanta e cattura, guardando meno alla commerciabilità.
La signora di Sora mostra nuovamente di sapersi porre nel giusto mezzo, affermando di conciliare i due macro-criteri identificati dalla Bompiani. Molto schiettamente, ammette di rinunciare alle pubblicazione di libri che le piacciono, ma di cui intuisce l’incapacità di arrivare al mercato; le uniche eccezioni che fa sono quelle legate ad autori su cui punta a prescindere, poiché la sua non è una politica editoriale legata al titolo, ma legata a tutta la produzione di un autore – di cui, quindi, si pubblicano anche libri più “deboli”, ma necessari per comprendere appieno il suo sviluppo.
Sottolinea, però, di non aver mai pubblicato un libro solo perché vendibile – ricollegandosi, dunque, all’importanza del gradimento personale.
Torna poi a parlare la signora Tarolo, che sottolinea un concetto per me molto importante, ovvero la necessità che un libro esca con la giusta casa editrice: Marcos y Marcos, ad esempio, ha ripubblicato libri già editi e andati male non per la loro qualità, ma per vari criteri esterni, come la tempistica o altri problemi che sorgono in seno alle grandi case editrici, che sono “forti, ma meno flessibili”. Un esempio di questa politica è stato il ritorno in libreria di John Kennedy Toole, pubblicato anni orsono dalla Rizzoli e andato miseramente: ora, ripubblicato, è il maggior successo della sua casa editrice.
Anche lei, comunque, sottolinea l’importanza di amare i libri che si portano in libreria, perché “non sarebbe in grado di sostenere” un libro che non ama.
La signora Lodigiani, infine, pone l’accento su un problema ben preciso, ovvero sul tempo di durata di un libro sugli scaffali delle librerie. A dire il vero non ci si sofferma troppo, ma declina questo ragionamento secondo quello che tenta di fare lei con la sua casa editrice: si cerca di tenerli sugli scaffali a lungo (non per un mese, come capita con certe altre case editrici, aggiungo io), perché così hanno il tempo di “scoprire il loro lettore”, creando nel frattempo uno “zoccolo duro” di appassionati, pieni di fiducia verso il marchio editoriale.
Per quanto riguarda i criteri di scelta che la spingono a preferire un libro a un altro, la direttrice di Iperborea delinea tre criteri fondamentali, ovvero un buon livello letterario, una storia appassionante (per cosa dice e per come lo dice) e l’interrogazione continua sul nostro posto nella società. Si sente la passione che questa donna prova per la letteratura nordica, posso assicurarvelo!
A questo punto il tempo sta per finire e, volendo concedere qualche momento anche al pubblico, il moderatore pone un’ultima domanda, ovvero come viene gestito il rapporto con gli esordienti e come si scelgono i classici da riproporre.
Comincia a parlare Claudia Tarolo, che subito ammette di avere un rapporto ambivalente, perché sono oppressi dagli arrivi delle proposte degli esordienti. Dice che “è difficile trovare chi non scrive” e porta subito esempi di momenti imbarazzanti (e, per noi che ascoltavamo, estremamente divertenti) come, per dirne uno, il professore di greco della figlia che, saputo il lavoro della madre, le chiede di leggere il suo manoscritto (ditemi voi, poi, come avrebbe potuto comunicare un rifiuto – e chissà che voti avrebbe assegnato il docente, da quel momento in poi…!) . E’ arrivata a nascondere, in certi casi, la propria professione, sempre per il timore di sentirsi proporre un manoscritto.
In generale, comunque, ammette di preferire la scelta e la scoperta di inediti, piuttosto che la traduzione di libri già pubblicati in altri paesi, perché sapere che “in mezzo al mucchio c’è qualcosa di bellissimo” le dà grandi soddisfazioni.
Ginevra Bompiani concorda con la Tarolo e porta come esempio un ricordo personale, ovvero il suo primo incontro con Milena Agus, prima attraverso la lettera di presentazione e poi con la lettura del libro. Afferma anche che la selezione di un manoscritto non implica, in realtà, che ci sia un soggetto che sceglie un oggetto, ma assomiglia piuttosto all’incontro tra due soggetti imperfetti.
A spezzare una lancia per le traduzioni ci pensa Daniela di Sora, che parla di quanto sia altrettanto straordinario trovare autori di paesi generalmente poco frequentati dai lettori, come ad esempio la Bulgaria; la direttrice di Voland dice di sentirsi come un “ponte” tra il nostro paese e “realtà esistenti ma sconosciute”.
Riprendendo poi il discorso dei libri ripubblicati, ci tiene a sottolineare che le tirature che servono a una grande casa editrice per decretare il successo di un libro sono enormi, rispetto a quelle necessarie a case editrici di medie dimensioni.
Per Emilia Lodigiani (che, lo ricordo, è la fondatrice di Iperborea), la faccenda è ovviamente diversa. Comunque, dice di leggere le prime tre pagine di tutto quello che arriva in casa editrice, anche se palesemente inadatto alla sua linea editoriale. In certi casi ha anche inviato delle lettere di incoraggiamento, spingendo gli autori a proporsi a realtà più adatte alle loro esigenze.
Per quanto riguarda i classici stranieri, invece, spiega che la loro pubblicazione solitamente avviene in concomitanza di occasioni particolari, come centenari di nascita e morte, o l’uscita di un film, così che gli eventi facciano “da traino”.
Finite le risposte, comincia uno dei miei momenti preferiti: le domande del pubblico. Purtroppo non sono riuscita a porre la mia domanda, ma ci sono stati comunque degli spunti interessanti.
La prima domanda era una richiesta di delucidazione sui meccanismi di distribuzione. Ha risposto Emilia Lodigiani, spiegando che ogni casa editrice di medio livello si appoggia a un distributore nazionale. Ginevra Bompiani ha sottolineato che le grandi case editrici pubblicizzano solo i libri che hanno tirature dalle 10.000 copie in su, i restanti vengono lanciati sul mercato ma senza essere particolarmente seguiti. Si tira in ballo anche la Legge Levi: la fondatrice di Nottetempo ammette che si tratta di una “lotta disperata” per ottenere un po’ di visibilità contro gli sconti delle grandi realtà editoriali.
Claudia Tarolo prende la parola per un momento, lanciando una frecciata agli editori a pagamento, dicendo che “pubblicare e stampare sono due cose ben diverse”.
Un uomo chiede se davvero vengono letti tutti i manoscritti che ricevono e domanda spiegazioni sull’effettivo rapporto tra editor e autore.
Riprende subito a parlare la Tarolo, che ammette che né lei, né il resto del suo staff, ha il tempo materiale per leggere tutto (anche se vorrebbero poterlo fare). In generale, comunque, sono davvero sufficienti le prime tre pagine per decidere se vale la pena continuare o meno. Per quanto riguarda l’editing, lo definisce un lavoro condiviso in cui “l’editor incontra e stimola l’autore”.
La Bompiani, invece, dice di leggere tutto quello che arriva, appoggiandosi anche a una lettrice professionale.
La revisione del testo, invece, secondo lei dev’essere affrontata principalmente dall’autore.
Un ragazzo pone due domande ben precise: come è possibile creare un rapporto di fidelizzazione tra lettore e casa editrice e come si possono incontrare dal vivo degli editori.
Risponde prima Emilia Lodigiani, dicendo che la fidelizzazione è un risultato che si raggiunge attraverso il passaparola e l’esperienza personale, “assaggiando” vari titoli; Daniela di Sora aggiunge che spesso gioca un ruolo importante anche il consiglio di un libraio di fiducia – quando quest’ultimo è preparato, s’intende. Risponde anche alla seconda domanda, dicendo che spesso gli editori di piccole-medie dimensioni sono presenti agli stand delle fiere editoriali (dove chiacchierano più che volentieri), mentre in generale si possono incontrare durante eventi come, appunto, Milano Bookcity.
E con queste risposte si è chiuso il primo dei due incontri che ho seguito.
Che ne pensate? Ci sono dei punti con cui siete in disaccordo, siete rimasti sorpresi da certe risposte? Apprezzate le case editrici che hanno preso parte alle discussione?
Fatemi sapere nei commenti, sapete che amo parlare con voi!
Alla prossima puntata e ai prossimi post,
Cami