giovedì 22 ottobre 2009

L'Autunno del Patriarca - Gabriel García Márquez

Titolo:L'Autunno del Patriarca (originale: El Otoño del Patriarca)
Autore:
Gabriel García Márquez

Anno:1975

Editore:Arnoldo Mondadori
Traduzione:
Enrico Cicogna
ISBN:88-04-25555-2

Pagine:
262

Trama:
La vita del Generale di un'isola caraibica, la narrazione di un potere privo di gloria e di una vita priva di altro compito. Attraverso la morte del Generale, si narrano episodi e vizi riguardanti il capo, declamato come immortale, di questo staterello tipico del realismo magico; un ritratto netto del dittatore, "dato che il dittatore è l'unico personaggio mitologico prodotto dall'America Latina" (cito l'autore).

Questo libro mi ha praticamente prosciugato le forze, protraendosi per un tempo piuttosto lungo vista la mia velocità media di lettura, e richiedendo tempo ed attenzioni che non mi sarei mai aspettata. Spesso poi necessitavo del totale silenzio, per non perdermi tra la maree di virgole e le lunghe frasi, e concent
rarmi sul filo della storia.
In un certo senso, ho fatto sia un passo indietro, che uno in avanti: indietro, tornando alle mie impressioni riguardo a Il Generale nel suo Labirinto, del medesimo autore (partenza sbagliata, m'aveva annoiato molto), avanti perchè ho compreso ulteriormente le tematiche e lo stile di questo autore, anche se non l'ho apprezzato particolarmente in questo libro.
Ma partiamo con ordine, m'accingo a cercare di mettere in ordine i pensieri vari che m'ha suscitato.

Innanzitutto, un piccolo excursus: complimenti al signor Cesare Segre, che ha redatto un'ottima introduzione: ha reso la lettura più chiara, ha spiegato alcuni processi letterari che altrimenti mi sarei persa e non avrei apprezzato allo stesso modo, e oltrettutto s'è spiegato in modo semplice ed accessibile, addirittura con alcuni schemini. Insomma, complimenti alla Mondadori per aver scelto un introduttore così abile! Ed ora, torniamo al libro in sè.

L'inizio del romanzo è lento, come il passo del dittatore che descrive; un passo da elefante, da bue che riposa. Certo, man mano prende un suo ritmo, o meglio, il lettore si adatta al ritmo della scrittura, ma inizialmente la totale mancanza di una suddivisione netta in frasi di media lunghezza (per intenderci, suddividevo la lettura non in capitoli, ma in periodi!) distrugge la pazienza del lettore. Insomma, ho incontrato frasi che non finivano mai, prolungandosi per più di due, tre, penso addirittura quattro facciate. In alcuni momenti, mi sembrava di cercare un punto fermo quanto un naufrago cerca l'appiglio più vicino per non farsi fracassare dalle onde.
Nonostante questo però, devo ammetterlo, la narrazione è comprensibile, spesso apprezzabile: sicuramente un punto di merito per Márquez.

Man mano che si prosegue nel viaggio tra le pagine, ci si accorge che oltre al Generale, p
rotagonista indiscusso e sempre presente, ci sono diversi personaggi che l'autore porta sotto i riflettori, narrando un po' attraverso la terza persona dell'osservatore onnisciente, un po' attraverso la prima persona del generale, a volte persino attraverso la prima persona del diretto interessato, altre pedine del regno imperituro del potente patriarca: il sosia (e specchio rovinato appositamente) Patricio Aragones, stella di una fine bella stilisticamente quanto triste ed amara, Bendicion Alvarado, madre per abnegazione, mitica nel suo rifiuto della mitizzazione, eppure così idolatrata dal proprio figlio, Leticia Nazareno, tanto amabile sotto lo sguardo del Generale quanto odiosa sotto ogni altro aspetto, e quel bambino tanto fragile, di cui nulla sappiamo se non qualche riga (eppure mi è rimasto nel cuore, questo soldatino così pieno di grazia). Queste figure sono ben tratteggiate, eppure sono sempre irrimediabilmente in secondo piano rispetto alla figura immensa del Patriarca, che giganteggia su ogni parola, nonostante la sua meschinità, l'odio che suscita per gli ordini disumani che impone, la pena che procura attraverso il suo corpo che diventa fiacco, i sensi che lo abbandonano, gli inganni perpretati per tenerlo tranquillo, le concubine e i sottoposti che lo deridono; ho trovato toccante un dialogo che ha con la propria madre, riguardo al tempo che passa. Quest'uomo, così odioso, autore di torture per migliaia di esseri umani, suscita, più che rancore, un sentimento di pietà quasi angosciante.
Il Generale delle origini, un uomo che comunque penso fosse mosso da buone intenzioni, viene fatto comparire poche volte, per essere continuamente sommerso dal potere, dalla venerazione, dalla paura sua e degli altri; costretto ad uccidere amici, consiglieri, persone fidate, credendo a tutti e a nessuno, scrivendo date, persone e commemorazioni su foglietti di carta nascosti in giro, così da ritrovarli poi, e non dimenticarsene mai per davvero (ottima trovata da parte dell'autore, che ci fa rendere conto anche di quanto il tempo passi diversamente per quest'uomo attraverso la precarietà con cui si aggancia a questi brevissimi memoriali).
Tutta la struttura di questo "racconto della fine" è essenzialmente semplice, lineare, eppure sembra imponente ed immensa per un lessico ed una sintassi lunghe, scelte accuratamente, barocche quasi, così piene e dense: c'è una mancanza di continuità che in realtà si risolve in mille e mille fili, tutti incrociati in un solo nodo.
Non so se sia un effetto voluto, ma a me appare proprio come un'altra metafora del potere, e quindi del protagonista e della sua vita/non-vita. Ingegnoso, se così fosse, davvero ingegnoso.

Oltretutto, oltre al già citato riferimento a Simon Bolivar (il generale, realmente vissuto, descritto ne Il Generale nel suo Labirinto), ho notato un altro riferimento che mi ha fatto molto piacere: viene citato l'episodio di una schiava dell'Africa venduta a tanto oro quanto pesava, stessa situazione descritto in un altro libro di Márquez che ho amato tantissimo, cioè Dell'Amore e
di Altri Demoni (cfr. la recensione). Mi ha fatta sentire "a casa", in un territorio caraibico-coloniale conosciuto, inesistente ma non per questo meno reale.

García Márquez ha certamente uno stile inconfondibile, brillante e piacevole quanto profondo e grottesco, ma in questo romanzo non mi sembra dia il meglio di sè, almeno secondo i miei gusti. Lascio senza rammarico la terra senza nome, governata da un Generale morto mille volte; spero che il mio prossimo approccio con questo autore latino americano sia più simile a quelli passati rispetto che a questo, che comunque è un buon romanzo, senza alcun dubbio. Sono stata a lungo indecisa, infatti, sul voto da assegnarli: alla fin fine, però, non riesco a dimenticare la pesantezza con cui s'è trascinato in alcuni punti, l'odio profondo che ho nutrito in certi momenti per la sintassi senza fine. Quindi, arrotondo per difetto.

Voto:

7

Frasi e Citazioni che mi hanno colpita...

  • [...] e non faceva attenzione a quello che gli dicevano ma scrutava la penombra degli occhi per indovinare quello che non gli dicevano, [...]
  • [...] una novizia mediocre, come tutte, ma lui sentì che era l'unica donna nel branco di donne nude, l'unica che passando davanti a lui senza guardarlo lasciò una scia oscura di animale di selva che si portò via la mia aria di vivere ed ebbe a malapena il tempo di spostare lo sguardo impercettibile per guardarla per la seconda volta per sempre per sempre [...]
  • [...] e lei rispose con voce d'uomo, presente. Così l'ebbe per il resto della sua vita, presente finchè le ultime nostalgie gli sgocciolarono via dalle crepe della memoria e rimase soltanto l'immagine di lei sulla striscia di carta sulla quale aveva scritto Leticia Nazareno dell'anima mia guarda come sono ridotto senza di te, la nascose nel nascondiglio dove riponeva il miele d'api, la rileggeva quando sapeva di non essere visto, tornava ad arrotolarla dopo aver vissuto per un attimo fugace la sera immemorabile di piogge raggianti [...]
  • [...] pensando madre mia Bendicion Alvarado come cazzo faranno le donne a fare le cose come se stessero inventandole, come faranno per essere così uomini, pensava, [...]
  • [...] domandandosi a squarciagola chi cazzo sono io che mi sento come se mi avessero rovesciato a gambe all'aria la luce degli specchi, [...]
  • [...] non mi dica la verità, dottore, chè corre il rischio che gliela credano, [...]
  • [...] annunciarono al mondo la buona novella che il tempo incomputabile dell'eternità era finalmente terminato.



Ciao a tutti e buoni libri :)

Cami

6 commenti:

  1. La magnificenza di essere un grande artista sta proprio nell'avere la possibilità di sperimentare senza perdere il genio, il talento e il valore dell'opera scritta!

    RispondiElimina
  2. Hai ragione, abbiamo avuto entrambe più o meno la stessa impressione da questo libro, ma sai che ora, leggermente meno "a caldo", mi pare già più bello? :)

    RispondiElimina
  3. Sicuramente, dopo un po' di tempo, riemergono solo le parti più belle ed emozionanti, certo :D Succede anche a me così... però proprio non riesco a sopportare il ricordo di quei periodi luuuuunghi lunghi XD

    RispondiElimina
  4. Forse non si cita mai abbastanza il ruolo delle EMOZIONI, non solo nei processi della conoscenza ma soprattutto in quelli di formazione (e selezione e conservazione) della Memoria. La filosofia da tempo e le neuroscienze oggi parlano addirittura di "Intelligenza emozionale". Sappiamo che risiede nella parte più arcaica del cervello, quella inattaccabile persino dalla demenza senile, quella che dunque conserva quei ricordi la cui formazione è avvenuta con il maggior coinvolgimento emotivo suscitato da sensazioni in generale, immagini visive in particolare. E qui vengono in mente ad esempio le arti della 'mnemotecnica' (i neoplatonici, G.Bruno, ecc.) o le riflessioni teoriche e la poesia di Leopardi, per il quale il ricordo non è mai un oggetto, un mero contenuto della memoria, bensì la "ricordanza": il movimento del ricordare. E a questo punto si aprirebbero le infinite pagine che la letteratura ha dedicato al tema drammatico del ricordare/dimenticare... con il sospetto che in fondo la scrittura stessa sia sempre un corpo a corpo con l'Oblio. Cito solo Proust -ovviamente- ma anche l'uomo 'ipertimetico' di Borges, l'inaffidabile diario postumo di uno Zeno, le "versioni" di quel Barney Panofsky in incipiente alzheimer, l'autunnale Patriarca di Marquez con quei i suoi bigliettini-per-non-dimenticare infilati qua e là nelle crepe dei muri...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, forse non si dà il giusto peso al ruolo dell'emotività in certi ambiti, ma proprio perché stanno crescendo gli studi a riguardo mi sento di dire che è un tema che, in realtà, sta assumendo una certa importanza anche in ambito scientifico.
      E in ambito letterario, poi... direi che basta guardare gli esempi che hai portato per rendersi conto che è un "tarlo" che ha colpito molti autori :)

      Elimina